22 Dicembre 2024

Il diritto internazionale e la storia: i conflitti colpiscono sempre anche i civili. La semplice esistenza del bombardamento aereo implica la possibilità che i colpiti possano essere ospedali, case o bambini che giocano

Del diritto internazionale conservo solo qualche reminiscenza di un lontano esame universitario: reminiscenza che peraltro non include quel diritto internazionale umanitario, un tempo pressoché inesistente, che invece tratta proprio la fattispecie dei crimini di guerra che ha portato un paio di settimane fa all’incriminazione del premier di Israele Netanyahu e del suo ministro della Difesa.
Quindi ho cercato d’informarmi. Se ho capito bene si deve oggi parlare di «crimini di guerra» quando nel corso di un conflitto una delle parti compie operazioni belliche che in qualunque modo (sottolineo: in qualunque modo) mettono in pericolo la vita dei civili nonché l’esistenza di quelle infrastrutture (abitazioni, scuole, ospedali, mercati, luoghi di culto) proprie di quella che si chiama la «vita civile». Di conseguenza — sempre che abbia capito bene, ripeto: ma credo proprio di sì — perché si abbia un crimine di guerra non è necessario che il belligerante miri intenzionalmente a colpire i suddetti obiettivi civili: basta che le operazioni militari in quanto tali siano condotte senza alcun riguardo nei loro confronti. La popolazione e tutto ciò che riguarda la sua vita, insomma, devono essere tenuti assolutamente al riparo da qualunque operazione militare e dalle sue conseguenze.
Di fronte a una simile disposizione giuridica è difficile non porsi più di una domanda e sollevare qualche problema. Domande e problemi spinosi, capaci, ne sono consapevole, di suscitare immediatamente nel lettore un senso d’insofferenza se non addirittura di contrarietà. Esprimere un dubbio sulle ragioni del bene, infatti, appare facilmente come una tacita complicità con il male. E poi in una circostanza come la guerra in cui l’ingiustizia è così diffusa, in cui tanti innocenti subiscono danni irreparabili, in una simile circostanza, è naturale che quella che appare comunque la causa del diritto e della giustizia sia comunque una causa condivisibile.
Ma il dibattito pubblico di una società democratica ha bisogno anche di voci dissonanti.
Se ho detto di non sapere quasi nulla di diritto internazionale penso invece di sapere qualcosa di storia. Di quella storia che parla degli esseri umani così come sono, del mondo così com’è, della realtà. E il principio di realtà incarnato dalla storia — guai a dimenticarlo — ha una sua forza ultimativa e invincibile. Leggi, trattati e tribunali possono stabilire quanto gli aggrada, tutto quanto sembra loro «giusto», ma se il mondo ha deciso di andare da un’altra parte si può essere certi che ci andrà. Ora, da più di un secolo (in verità direi da sempre) la guerra colpisce in maniera più o meno indiscriminata le popolazioni civili. Non ne ricordo neppure una, e sfido chiunque a farlo, in cui ciò non sia accaduto. Valga un esempio particolarmente calzante.
La semplice esistenza del bombardamento aereo — al quale dal 1914 in poi nessun belligerante ha mai rinunciato — implica la possibilità pressoché inevitabile che sotto le bombe ci sia invece che dei soldati un ospedale, una casa, un gruppo di bambini che giocano. Si tratta di un’eventualità data sempre per scontata, anzi perlopiù intenzionalmente cercata. Forse che Hiroshima o Nagasaki, mi chiedo, furono colpite perché rappresentavano un obiettivo di qualche importanza militare? Anche il principio di proporzionalità tra azione e reazione in ambito bellico, oggi adottato dal diritto, non mi pare che nella realtà abbia mai ricevuto la minima applicazione. Mi chiedo che proporzionalità ci sia mai stata, ad esempio, tra il bombardamento di Pearl Harbor e di Port Darwin da parte dell’aviazione giapponese (in tutto qualche centinaio di morti civili) e i bombardamenti Usa sul Giappone, durati anni, in cui le vittime, specialmente civili si capisce, si contarono a centinaia di migliaia.
La conclusione sembra dunque una sola: con le sue prescrizioni il diritto internazionale umanitario non sanziona i crimini di guerra. Di fatto esso rende la guerra moderna, la guerra in quanto tale, un crimine di guerra. E naturalmente fa di tutti i suoi protagonisti — Roosevelt e Truman compresi — altrettanti criminali di guerra. Lascio ai lettori ogni giudizio sulla plausibilità e l’efficacia di un simile diritto.
La cui capacità di deterrenza e di portare realmente alla sbarra i veri o presunti colpevoli non sembra molto alta, è vero: venendo però compensata dagli effetti oltremodo ragguardevoli che invece hanno le delibere del suo tribunale sul piano del pensiero comune, dell’opinione diffusa. Infatti, specie l’opinione pubblica europeo occidentale – ormai totalmente disavvezza a ragionare politicamente in termini di potenza, sedotta da mille voci circa la presunta «inutilità» della guerra (il fatto storicamente forse più produttivo di conseguenze…), infine inquieta nel proprio intimo per qualunque cosa possa venire a turbare la sua imbelle disposizione non già alla pace quanto all’essere lasciata in pace, specie l’opinione pubblica europea, dicevo, accoglie con malcelata soddisfazione le pronunce di un così alto consesso. Sa che quelle pronunce valgono concretamente ben poco. E tuttavia esse sono pur sempre una ricompensa psicologica per il suo ritiro dal proscenio della storia, un lenimento al sospetto angoscioso che le si agita oscuramente nell’animo:che un tale ritiro invece che l’annuncio di giorni felici sia solo la premessa di un declino ormai senza rimedio.

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