19 Settembre 2024

Il racconto di una giovane del mondo della cultura, che rimane anonima per paura di ritorsioni

Aveva accettato di raccontarci l’inferno che sta vivendo al grido di «donne, libertà e vita». Poi un mezzo dietrofront: «Ieri è successo qualcosa, dobbiamo rinviare» aveva spiegato con il timore di usare parole di troppo nei luoghi sbagliati. Passano i giorni e il desiderio di non soccombere a intimidazioni e minacce diventa più forte della paura. Dal coraggio ritrovato nascono queste righe. L’autrice è una giovane iraniana, un personaggio del mondo della cultura. La chiamiamo con un nome emblematico, diverso dal suo: Mahsa, come la ragazza che con la sua morte ha acceso la rivoluzione. Lei trova la forza di parlare perché non vuole che si spenga.

Da tre mesi viviamo emozioni contrastanti. Siamo pieni di rabbia e paura, speranza e disperazione. Nessuno di noi avrebbe mai voluto provare questo mix di sentimenti. Quante volte abbiamo sperato che non ci fosse una nuova vittima. Invece sparatorie, arresti e uccisioni aumentano di giorno in giorno. Ho visto con i miei occhi poliziotti sparare proiettili e picchiare gente per strada.

Questa mobilitazione sta segnando la nostra giovinezza, ci sta costando molte vite. Se verrà repressa, il prezzo sarà altissimo. Ecco perché dobbiamo considerarla una rivoluzione. Non abbiamo altra scelta che lottare per cacciarli dal nostro Paese. Abbiamo tutti paura ma continuiamo a combattere. Soprattutto le donne lottano a ogni passo che fanno. Dal mattino presto, quando escono di casa senza velo e passano davanti al presidio di polizia per mostrare il loro coraggio. In questi giorni di freddo a Teheran le donne che non indossano il cappello lo fanno perché i capelli sono il loro mezzo di lotta. Ma tutti stanno combattendo. Ognuno secondo le proprie possibilità. Le librerie hanno messo più in vista volumi su Hitler, Stalin e l’Urss. Per strada donne senza velo e uomini si sorridono con gli occhi per incoraggiarsi. È come se si dicessero «non sei solo». Attivisti, politici e giornalisti sono in preda alla paura e all’ansia. Ogni rumore che arriva in casa, che sia quello dell’ascensore, di un passante, del campanello o un numero sconosciuto sul cellulare, ti fa sobbalzare: il primo pensiero è che siano venuti a prenderti. Molti sono stati arrestati a casa loro, le loro abitazioni violate nel cuore della notte, mentre dormivano. Hanno preso i loro telefoni, i computer e tutti i loro taccuini, a volte senza arrestarli. Alcuni come me invece sono stati portati via e interrogati.

In due mi hanno tartassato di domande per 4 ore. Nessuna violenza fisica ma la pressione psicologica era altissima. Ora soffro d’insonnia, ho chiesto aiuto a un medico.

Questo stress è aumentato terribilmente negli ultimi giorni. Ogni mattina ci svegliamo con la paura di apprendere che qualcun altro è stato impiccato. Per questo molti di noi non vogliono dormire. Abbiamo paura di dormire e di svegliarci col senso di colpa. Il governo iraniano ha il potere di mandare al patibolo la maggior parte dei manifestanti e il motivo di questa seconda esecuzione in una settimana è vedere come reagisce il mondo. L’Occidente deve ascoltare la nostra voce. I giovani ci aspettano in carcere. Molti di loro non hanno nemmeno accesso a un avvocato. Siate la loro voce.

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