Fonte: sito https://politicaperdilettanti.wordpress.com
Benedetta sia Radio Radicale e benedette le sue dirette dei lavori parlamentari, che possono trasformare un lungo e solitario viaggio in auto in una appassionante full immersion politica. Delizia riservata solo ai depravati che amano il genere, ovviamente.
La trasmissione delle audizioni in Commissione Lavoro e Finanze sul DL “Dignità” (ipocrita denominazione utile all’accaparramento della benevolenza webete e all’obliterazione del nome del suo pessimo autore) è stato il primo momento di reale godimento politico dal 4 marzo ad oggi.
Il DL Dignità è infatti l’unico – infelice – provvedimento “politico” di questo ripugnante governo; tra ieri e oggi esso è stato letteralmente fatto a pezzi da tutti gli esperti e i portatori di interesse chiamati in audizione dai deputati. Confindustria, Rete Imprese, accademici, consulenti del lavoro, giuslavoristi: tutti, a parte la solita impresentabile CGIL, hanno sbattuto in faccia alla maggioranza il giudizio di assoluta incongruità del decreto considerata la sua idoneità a distruggere lavoro anziché a favorirlo.
Come in ogni spettacolo che si rispetti è stata la scena finale a far salire la tensione e l’attenzione del pubblico. Dopo il fuoco di fila pressoché ininterrotto degli esperti, alle 17:30 si è presentato in Commissione Tito Boeri, presidente Inps, e ha raccontato punto per punto le ragioni non tanto sue, quanto dell’istituto che presiede. Ha spiegato che il Ministero ha ricevuto la relazione (da esso richiesta) sugli 8mila posti bruciati una settimana prima della pubblicazione e che quel numero è frutto di un’elaborazione attuariale (un vocabolario, anche online, può chiarire a Di Maio il significato di questo termine), non di un complotto politico. Ha illustrato i presupposti scientifici e il metodo di calcolo. Ha spiegato senza mezzi termini che si tratta di una stima prudenziale e per difetto. Ha dichiarato che le finalità del decreto sono condivisibili (e da lui stesso condivise) ma che ad ogni test teorico ed empirico la norma improvvisata da Di Maio ha dimostrato di produrre effetti contrari a quelli perseguiti. Ha specificato che Di Maio avrebbe potuto ricavare ogni informazione utile a tali conclusioni dalla relazione trasmessa per le vie formali e che “sarebbe bastato sfogliarla” per non cascare dal pero all’ultimo momento.
Io ascoltavo in radio, ma si leggeva perfettamente, anche via etere, il disagio dei deputati di maggioranza, consapevoli di come il loro vicepremier avesse scritto una norma che fa acqua da tutte le parti e che il Parlamento dovrà riscrivere di sana pianta.
Boeri ha concluso con una lezione di etica dell’amministrazione pubblica, gettata in faccia a Di Maio come un guanto: scordatevi che io chini la testa davanti alla vostra pericolosa approssimazione, scordatevi che l’INPS nasconda la realtà dei fatti per parare il culo a ministri incompetenti. Imparate a fare i conti con la realtà, che la campagna elettorale è finita e con gli slogan non si pagano le pensioni ai cittadini; neppure a coloro che hanno stolidamente votato partiti irresponsabili. E scordatevi le dimissioni da chi non ha nulla da rimproverarsi, almeno fino a quando non le chiederà il Parlamento che ha espresso il parere favorevole sulla mia nomina.
Una lezione va anche all’opposizione che in questi giorni dà libero sfogo al suo invincibile istinto tafazziano, con l’ipotesi dell’invito di Di Maio alla festa dell’Unità o addirittura di un possibile sostegno parlamentare all’indegno DL dignità. Boeri ha mostrato con chiarezza come ci si oppone a chi costituisce un pericolo per la democrazia e il benessere: con durezza e coraggio, con passione e orgoglio, senza incertezze, forti delle proprie ragioni. Le bugie spericolate dei gialloverdi vanno smascherate con l’evidenza dei fatti e della competenza, portate sulla pubblica piazza, denunciate in ogni sede istituzionale e non, sventolate davanti agli occhi foderati dei gonzi. Occorre resistere e insistere, dicendo semplicemente la verità, senza alcuna remora di politically correct.
Non c’è altra strada. Ogni compromesso non fa che mettere ulteriormente a rischio il nostro Paese e allungare i tempi di risveglio dall’incubo populista.