20 Settembre 2024

Fonte: Sole 24 Ore

di Antonella Scott

Russia e Turchia sostengono fronti rivali nella guerra libica, ma seguono uno schema collaudato: cercare terreno comune anche nelle divergenze


Le espressioni non sono quelle di due avversari: Vladimir Putin, coinvolto in Libia alle spalle del generale Khalifa Haftar, e Recep Tayyip Erdogan, alleato del premier Fayez al-Serraj, sono affiatati anche nei gesti. Come potrebbe essere diversamente? A Istanbul i due leader hanno inaugurato un gasdotto che rafforzerà il legame energetico tra i due Paesi, alimentando la Turchia con altro gas russo. È la base dell’intesa tra Mosca e Ankara: realizzeremo molti altri progetti insieme, dice Putin.
Il primo, il più urgente, riguarda appunto la Libia: i due uomini che ne stanno influenzando sempre di più il destino hanno invitato Tripoli e Bengasi a proclamare un cessate il fuoco, a partire da domenica 12 gennaio. L’offensiva aerea e terrestre lanciata dal generale Haftar contro il governo di unità nazionale di Tripoli, riconosciuto dalla comunità internazionale, dovrebbe fermarsi dopo essersi spinta fino alle porte della capitale.
Lo schema russo-turco, che potrebbe preludere a una divisione della Libia in zone di influenza, anche sul fronte dell’energia, è collaudato. In Siria Putin ed Erdogan hanno confermato di recente la capacità di non darsi fastidio a vicenda anche dove esistono divergenze, se pure profonde. Nell’accettazione dei rispettivi interessi, poiché l’interesse principale per entrambi è restare in buoni rapporti.
In Libia, tuttavia, lo scenario è complesso. Erdogan sta rispondendo alla richiesta di aiuto di al-Serraj, inviando truppe e mezzi nella lotta all’uomo forte di Bengasi. Che a sua volta conta sul supporto di contractors inviati da Mosca, le milizie senza bandiera che per il momento consentono a Putin di tenere una certa distanza dal conflitto. Almeno formalmente.
«Con grande preoccupazione – scrivono Putin ed Erdogan nella dichiarazione congiunta diffusa da Istanbul – seguiamo gli ultimi avvenimenti, in particolare gli intensi combattimenti intorno a Tripoli». Il peggioramento della situazione minaccia la sicurezza e la stabilità dell’intera regione, nel Mediterraneo e nel continente africano: «Con conseguenze sulle migrazioni irregolari, sulla diffusione degli armamenti, del terrorismo e della criminalità, compreso il contrabbando».
Putin ed Erdogan ribadiscono l’inviolabilità della sovranità, dell’indipendenza, dell’integrità territoriale e nazionale della Libia. Obiettivi «raggiungibili soltanto attraverso un processo politico… condotto dai libici e basato su un dialogo sincero e inclusivo tra loro». Dando il proprio sostegno allo sforzo diplomatico avviato sotto l’egida delle Nazioni Unite, Russia e Turchia si propongono come mediatori nell’invitare tutte le parti a cessare ogni azione militare a partire dalla mezzanotte del 12 gennaio, a proclamare una tregua e a compiere tutti i passi necessari a stabilizzare la situazione sul terreno e a normalizzare la vita degli abitanti a Tripoli e nelle altre città. Sedendosi infine «immediatamente» al tavolo dei negoziati «con lo scopo di mettere fine alle sofferenze dei libici e riportare la pace».
Ansiosi di mostrarsi punti di riferimento determinanti nel riportare sotto controllo le crisi che scuotono il Medio Oriente, Putin ed Erdogan hanno discusso le fasi conclusive della guerra in Siria, dove le forze di Damasco spalleggiate dai russi tengono sotto assedio Idlib, l’ultima roccaforte ribelle. La Turchia, che non condivide il sostegno offerto dai russi a Bashar Assad, guarda con preoccupazione all’esodo di profughi verso la propria frontiera: mentre per Putin, che ha ribadito l’appoggio ad Assad andandolo a trovare proprio sulla strada per Istanbul, la priorità ora è lavorare con Teheran per evitare che si ripercuota sulla Siria il confronto con gli Stati Uniti.
«Siamo profondamente preoccupati per l’escalation di tensione tra Usa e Iran, e anche per le possibili conseguenze negative sull’Iraq», chiariscono Putin ed Erdogan al capitolo “Iran” della dichiarazione. Nel nome della de-escalation, il compito del presidente russo sarà trattenere Teheran, il raìs si confronterà con la Casa Bianca: «Alla luce degli attacchi missilistici condotti dall’Iran contro le basi militari della coalizione in Iraq, riteniamo che l’uso della forza da parte di qualunque attore non aiuti la composizione dei problemi del Medio Oriente e conduca a una nuova spirale di instabilità, che non è nell’interesse di nessuno».

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