10 Novembre 2024

Fonte: La Stampa

di Lorenzo Vidino

Che dovesse avvenire nel giorno dell’anniversario degli attentati di Bruxelles è forse una coincidenza, ma che prima o poi anche la Gran Bretagna avrebbe patito un attacco era dato per scontato dall’antiterrorismo inglese. Circa 900 i jihadisti britannici che, secondo i servizi di Londra, si sono uniti allo Stato Islamico ed a Jabhat al Nusra in Siria ed Iraq e alcuni di loro sono tornati in patria, in certi casi facendo perdere le proprie tracce. Esponenzialmente più alto il numero di soggetti senza legami operativi con gruppi jihadisti ma comunque radicalizzati e capaci di agire, spesso in maniera totalmente imprevedibile, come cani sciolti. E tredici, ha rivelato il capo dell’antiterrorismo inglese Mark Rowley solo due settimane fa, sono stati gli attentati sventati nel Paese negli ultimi quattro anni, alcuni dei quali potenzialmente ben più sofisticati e letali di quello di ieri.
Enihil novi sub sole anche per quanto riguarda la dinamica: nel 2013 due militanti jihadisti, nati e cresciuti a Londra, avevano investito un soldato inglese, Lee Rigby, con la loro macchina e lo avevano poi smembrato a colpi di mannaia.
Nelle prossime ore si scoprirà se l’attentatore era un lupo solitario o aveva legami operativi con qualche gruppo. E’ comunque chiaro che la minaccia terroristica contro l’Occidente è eterogenea nelle sue modalità, rappresentata in certi casi da sofisticati mini ordigni esplosivi, come quelli confezionati da al Qaeda nella Penisola Araba e la cui ricerca ha portato al divieto americano e britannico di portare apparecchi elettronici sui voli provenienti dal Medio Oriente, in certi casi da azioni come quella di Londra di ieri che però vedono nella propria natura rudimentale la loro massima efficacia – paradossalmente è più facile intercettare una bomba o un commando che un auto lanciata su pedoni o un attacco compiuto all’arma bianca da un lupo solitario. L’antiterrorismo inglese ha fatto passi da gigante dopo gli attentati alla metropolitana londinese del 2005, dotandosi di risorse, competenze e strumenti giuridici efficaci. Ma ormai si sa ed Israele ne è esempio: neanche il migliore degli apparati antiterrorismo, neanche una società completamente militarizzata possono bloccare tutti gli attacchi, in particolare quelli di natura spontaneista e rudimentale.
E come collegare gli eventi di ieri alle sconfitte patite dallo Stato Islamico a Mosul e, più in generale, alla sua ormai costante ritirata sullo scacchiere siro-iracheno? Appare prematuro sia parlare di colpo di coda del Califfato sia dell’inizio di una campagna globale di vendetta. È invece più utile adottare la prospettiva del movimento jihadista, che è di lungo termine. Lo Stato Islamico non ha inventato l’ideologia jihadista, le ha solo dato lustro e diffuso come non mai grazie ai propri successi sul campo ed alla propria immensa efficacia mediatica. Sconfitto lo Stato Islamico (cosa comunque ancora lontana), arriveranno altri gruppi, sia a livello globale che locale, a raccogliere lo stendardo della jihad. E sopravvivranno alla fine del Califfato anche le migliaia di adepti del credo jihadista, siano essi in Medio Oriente o in Europa. In quest’ottica è sì importante che i governi europei migliorino le proprie difese attraverso maggiori investimenti in intelligence, miglior cooperazione transnazionale e miglior controllo dei propri confini. Ma è altrettanto importante che tutti gli europei sviluppino lo spirito del «Keep Calm and Carry On» creato dagli inglesi sotto le bombe della Seconda guerra mondiale ma oggi come non mai importante per affrontare una nuova e diversa minaccia senza isterie.

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