Dalla sicurezza al salario minimo. È stata una due giorni molto intensa per il ministro del Lavoro Marina Calderone, sul suo tavolo alcuni degli argomenti più «scottanti» in materia, arricchiti dall’intervento di Cnel e Inail.
Ministro come commenta la decisione del Cnel di sostanziale bocciatura della necessità del salario minimo?
«Il lavoro del Cnel è stato prezioso perché ha arricchito il dibattito intorno al salario minimo con ulteriori elementi di valutazione e confermando quello che da tempo diciamo: esiste una contrattazione collettiva che copre ben oltre l’80% dei lavoratori italiani. Questa è la base, in linea con l’orientamento dell’Ue, per investire sul rinnovo dei contratti e quindi migliorare le condizioni economiche a favore dei lavoratori, anche attraverso i contratti di secondo livello che puntano sulla produttività e che, grazie ad un intervento di detassazione in manovra, sono cresciuti nell’ultimo anno del 35%».
La Cassazione però ha detto che i giudici possono intervenire per far rispettare alle aziende il principio dell’articolo 36 della Costituzione sulla giusta retribuzione. Molti l’hanno letta come un’apertura a favore del salario minimo.
«La pronuncia della Cassazione dimostra che esiste il tema del salario dignitoso, più che del salario minimo. Non a caso la Suprema Corte fa riferimento all’articolo 36 della Costituzione quando parla di “giusta retribuzione” attraverso paghe che non siano al di sotto della soglia di povertà perché esprime questi valori in maniera compiuta e rappresenta il parametro da sempre attuale per ogni valutazione. Leggo quindi la sentenza come uno stimolo a investire nella contrattazione di qualità che promuova tutele e garanzie aggiuntive rispetto al salario minimo orario che, da solo, non è sufficiente a garantire il principio del giusto salario».
L’Inail ha presentato recentemente la sua relazione annuale: che lettura dà ai dati?
«Quando si parla di vite umane, non sono mai i numeri quelli da tenere in stretta considerazione. Nell’ultimo quinquennio, al netto del Covid, si registra una tendenza alla riduzione degli incidenti in generale e in alcuni settori, più di altri: -17,3% per gli infortuni e – 24,2% per quelli mortali. Ma non può essere il punto di arrivo di un’azione volta al rafforzamento di una strategia che ha come obiettivo quello di non perdere vite umane sul lavoro».
Quali soluzioni possibili?
«Più che di soluzioni, parlerei di azioni da portare avanti su prevenzione, formazione e controlli».
Cominciamo dalla prevenzione.
«Occorre una diffusione capillare dove si formano i lavoratori di domani. È nella scuola che si deve insegnare la sicurezza sul lavoro. Un primo passo importante è stato fatto con la previsione, contenuta nel decreto lavoro del primo maggio, di estendere la tutela assicurativa degli studenti e del personale scolastico in tutte le attività. Comprese quelle in alternanza scuola lavoro (oggi Pcto)».
Formazione?
«Dobbiamo renderla più incisiva e specifica per classi di rischio collegate alle mansioni e aggiornarla nel momento in cui il lavoratore cambia ruolo. Particolare importanza dovrà avere il coinvolgimento dei lavoratori nell’utilizzo dei dispositivi di sicurezza. Qui, l’Inail, attraverso le sue strutture, può contribuire a renderli sempre più fruibili a favore di un più facile e maggiore utilizzo».
Controlli?
«Abbiamo fatto – e stiamo facendo – molto. Da poco è partito il corso di formazione per 800 nuovi ispettori tecnici. L’obiettivo è aumentare il numero delle ispezioni e il presidio su settori e attività ad alto rischio. È partita da qualche settimana l’operazione “Safety first” su settori specifici. Dalle prime risultanze emergono percentuali molto alte di irregolarità. Sono dell’avviso che bisogna investire per sostenere le aziende virtuose che applicano in modo puntuale le disposizioni con incentivi ad hoc. C’è l’esigenza di restituire al sistema una parte dell’avanzo del bilancio dell’Istituto per investire ulteriormente in formazione, progetti innovativi e agevolazioni».