La Commissione ha messo in chiaro che una procedura per chi non rispetta i parametri potrebbe scattare già all’inizio dell’anno prossimo
«La Commissione ha dichiarato che proporrà al Consiglio di avviare, nella primavera del 2024, procedure per i disavanzi eccessivi basate sul disavanzo in base ai dati di consuntivo per il 2023. L’Italia dovrebbe tenerne conto nell’esecuzione del bilancio 2023 e nella preparazione del documento programmatico di bilancio per il 2024». Quando si riferiscono le intenzioni del governo italiano in relazione alla prossima legge di Bilancio, le risposte degli uffici della Commissione europea sono piuttosto standard. Valuteranno quando i dati saranno ufficiali e a tempo debito.
In questa premessa, però, c’è sempre un “ma”. Che assomiglia più a un “avvertimento” che non a un memento. E si basa su un atto formale: le raccomandazioni pubblicate l’11 luglio scorso. Due mesi e mezzo fa, non due anni fa. E in quel documento c’è un passaggio chiarissimo: chi non rispetta i parametri del deficit sarà subito sottoposto a procedura d’infrazione. Già all’inizio del prossimo anno. E l’esame verrà compiuto in riferimento ai numeri del 2023.
È vero che nelle ultime settimane qualcosa è cambiato nelle previsioni macroeconomiche dell’Europa e del mondo intero. Ma la trattativa tra Roma e Bruxelles sulla prossima manovra rischia di partire già in salita. Se le cifre che dovrebbero accompagnare la Nadef, in via di approvazione oggi, saranno confermate, non potrà che scattare l’allarme. Anche perché il rapporto deficit/pil per il 2023 si presenta come una bomba in grado di esplodere avvicinandosi alla soglia pandemica del 6 per cento. E quello dell’anno prossimo, 4,3 per cento, è tutto tranne che confortante.
Sulla Nota di aggiornamento non si consuma solitamente un confronto tra il governo italiano e l’esecutivo europeo. Almeno non formale. La prima concreta analisi della manovra ci sarà a ottobre. Quando, cioè, Palazzo Chigi e il Ministero dell’Economia trasmetteranno il Dpb, il Documento programmatico di Bilancio. Sulla cui base, la Commissione valuterà le cifre, la traiettoria (del disavanzo e del debito) e anche l’andamento degli altri Paesi. A quel punto le opinioni ufficiali verranno dichiarate nei primi giorni di novembre.
Il punto, in questo caso, è che le prime indicazioni della Nadef sembrano costruite per avviare un negoziato al rialzo. Un gioco in cui Meloni e Giorgetti cercano di inserire nello stesso piatto la ratifica del Mes e la riforma del Patto di Stabilità. Con ogni probabilità si tratta di un tentativo che verrà in primo luogo respinto dagli Stati membri prima che dalla Commissione. Dieci giorni fa, durante la riunione dei ministri finanziari dell’Ue che si è svolta a Santiago de Compostela, l’avvertimento lanciato dal ministro dell’Economia tedesco, Christian Lindner, è stato chiaro e netto: «Quest’anno, nonostante le difficoltà, noi presenteremo un rapporto deficit-pil al 2,5 per cento». Cioè ben al di sotto del 3 fissato dai parametri ufficiali.
Lo stallo sul nuovo Patto di Stabilità, inoltre, non aiuta. Se dovesse “rivivere” da gennaio quello vecchio, l’Italia si troverebbe davvero in una situazione disastrosa. Dovendo tagliare il debito di un ventesimo ogni anno. Ma se entrasse in vigore una nuova formulazione, Roma sarebbe comunque chiamata come minimo a concordare con la Commissione una procedura di rientro abbastanza stringente. Basta poi leggere ancora le raccomandazioni consegnate al nostro Paese a luglio scorso per capire quanto sia difficile digerire la richiesta di extradeficit: «Alla luce della necessità di ridurre il disavanzo al di sotto del valore di riferimento del 3% del Pil previsto dal trattato, secondo la Commissione sarebbe opportuno migliorare il saldo strutturale di almeno lo 0,7 % del Pil per il 2024». E invece peggiorerà quasi della cifra equivalente: 0,6 per cento. E ancora un altro ammonimento: bisogna «assicurare una politica di bilancio prudente, in particolare limitando a non più dell’1,3% l’aumento nominale della spesa primaria netta finanziata a livello nazionale nel 2024». È evidente che, sebbene le aspettative di crescita siano state di recente ridimensionate, la scelta di Roma è in controtendenza. Anche se le previsioni di aumentro del Pil all’1 per cento il prossimo anno dovessero essere confermate. Ipotesi non pienamente garantita.
Infine c’è un altro aspetto. Dalle prime indiscrezioni sulla manovra, l’extradeficit di 9 miliardi sarà interamente dirottato sulla riduzione del cuneo fiscale. In effetti questa è una delle misure suggerite dalla stessa Commissione a varie riprese. Da questo punto di vista lo spread tra l’Italia e molti altri Paese dell’Unione è ancora molto alto. Ma su tutti gli altri esborsi potrebbe non esserci l’avallo di Bruxelles. Andrà considerata anche la durata dell’intervento sul cuneo. Se sarà strutturale o contingente. Perché è evidente che una misura del genere, introdotta a pochi mesi dal voto europeo, acquisirà il sapore di una mossa da campagna elettorale.
Il governo Meloni sembra dunque scommettere sull’idea che la squadra di von der Leyen, alla fine del suo mandato, non avrà la forza di intervenire con una sanzione in primavera. Ma da qui alla fine dell’anno, sarà invece concreta la possibilità di chiedere un’altra Nadef, di far pesare la mancata ratifica del Mes e di orientare la riforma del Patto di Stabilità. Il braccio di ferro sta per cominciare.