Fonte: Corriere della Sera
di Luciano Fontana
Dobbiamo riconoscenza a medici e infermieri che da giorni si dedicano senza interruzione alla cura dei malati. Un po’ meno ci sono piaciute le liti della politica
È passata una settimana dal giorno in cui le nostre vite sono cambiate così pesantemente, il giorno in cui abbiamo dovuto fare i conti con l’arrivo del virus e dei contagiati nell’ospedale di Codogno. Numeri preoccupanti, decisioni politiche, emozioni e anche isterie hanno accompagnato ogni istante della nostra quotidianità, soprattutto in questa parte del Paese abituata a correre e a darsi traguardi individuali e collettivi sempre nuovi. Sappiamo molto del Covid-19, medici e scienziati sono stati presenti incessantemente su tv e giornali a spiegare, dare consigli e rassicurare. Tutto questo non ha evitato di farci ritrovare in una situazione da cui dobbiamo insieme uscire al più presto: con la serietà delle misure di prevenzione e la razionalità dovuta agli italiani da parte di chi ci governa. È il momento di dire basta a quei comportamenti, a quelle decisioni, a quegli allarmi che hanno creato panico e che rischiano di provocare danni che pagheremo per tanto tempo. È stato lanciato l’hashtag #Milanononsiferma, rappresenta ognuno di noi. Anzi è tutta l’Italia che non deve fermarsi e ripartire.
Ci sarà tempo per valutare se le misure adottate da gennaio in poi siano state giuste oppure abbiano rappresentato, magari involontariamente, un moltiplicatore dell’emergenza. La decisione di bloccare i voli diretti dalla Cina senza controlli ferrei di quelli che utilizzavano scali intermedi ha suscitato molte perplessità. Così come il fatto che l’Unione europea non sia riuscita a definire provvedimenti comuni per le analisi sui passeggeri, il numero dei test da effettuare, le comunicazioni dei casi positivi. L’Italia ha fatto analisi molto estese con i tamponi, almeno fino a giovedì scorso. Con trasparenza ha fatto conoscere la progressione dei contagiati. Non distinguendo tra positivi e malati, forse ha generato ansia anche in situazioni come quella della signora di Vo’ dimessa dall’ospedale dopo un periodo di isolamento: «Stavo benissimo, non ho avuto neppure una linea di febbre», ha raccontato al nostro Marco Imarisio. Francia e Germania si sono comportate diversamente e non sono diventate un caso a livello internazionale dove gli italiani sono trattati come i «nuovi untori».
L’emergenza è stata affrontata con impegno e dedizione dalle strutture pubbliche e private, dobbiamo riconoscenza a medici e infermieri che da giorni si dedicano senza interruzione alla cura dei malati. Un po’ meno ci sono piaciute le liti della politica, le uscite improvvide come quella del premier sulla sanità lombarda, le fughe in avanti del governatore delle Marche, con la chiusura delle scuole in una situazione che invece non la riteneva necessaria. O l’indicazione di chiudere i bar alle 18, poi revocata. E per ultimo quel video su Facebook in cui il governatore della Lombardia, negativo al test ma in autoisolamento per un caso riscontrato nel suo staff, ha indossato in diretta la mascherina informandoci che per 14 giorni lo vedremo così. Un gesto forse pensato per comunicare una «nuova normalità» ma poco utile a ridurre le preoccupazioni.
Abbiamo avuto la sensazione, qualche volta, di una politica (con imitatori anche nelle imprese) impegnata a prendere le decisioni più estreme, a lanciare allarmi, a individuare precauzioni eccessive per non prendersi responsabilità. Una caratteristica molto diffusa nell’era digitale in cui si misura immediatamente il consenso. La ragionevolezza delle dichiarazioni degli esperti hanno fatto fatica a fare breccia. In particolare quelle che ci raccontavano un virus da cui si guarisce senza gravi problemi nell’80-90 per cento dei casi (sono 45 le persone che l’hanno già superato), molto contagioso ma con un tasso di mortalità bassissimo e legato spesso a patologie concomitanti, come avviene nel caso dell’influenza. Un’epidemia seria, da circoscrivere e controllare, visto che non abbiamo ancora un vaccino, con la consapevolezza però che non siamo di fronte alla peste o a ebola. Credo che tutti sappiano ormai esattamente quali siano i rischi. Le nostre vite non sono in ogni istante al riparo da tutto. Lo sapevano i nostri nonni e i nostri genitori, anche noi forse dobbiamo recuperare questa dimensione dell’esistenza.
È necessario ora aprire al più presto una nuova fase: attenta, seria e responsabile nell’affrontare l’emergenza sanitaria ma altrettanto determinata a non provocare più danni al Paese di quelli necessari. Per le strade del Nord si incontrano solo cittadini, imprenditori e amministratori che vogliono riprendersi la normalità delle loro vite, del loro lavoro, delle loro serate di incontro e di divertimento. È urgente verificare punto per punto (aziende, musei, cinema, incontri, scuole, eventi e così via) cosa è possibile far ripartire, con le dovute attenzioni, regolarmente. Chi è più competente di noi ci dica cosa è possibile fare e cosa no. Chi ci governa lo deve agli italiani che non hanno voglia di vivere in un «mondo sospeso».