20 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Franco Venturini

In un quadro internazionale cambiato, Roma non può restare un’incognita per Berlino e Parigi. Dobbiamo puntare alla prima fila ed evitare le retrovie


Per l’Europa il 2017, l’anno di tutte le paure elettorali, sembra non finire mai. Otto mesi fa in Olanda andò bene, e subito dopo, in maggio, venne la cruciale vittoria di Macron in Francia. La Ue si salvò allora da morte certa, ma si può rimanere vivi e paralizzati, ed è proprio questo il pericolo che incombe oggi sull’Europa. I tedeschi hanno votato in ottobre con minori preoccupazioni dopo la messa in sicurezza del partner francese, e il risultato, oltre ad aprire le porte del Bundestag all’estrema destra, ha costretto Angela Merkel a trattare con verdi e liberali per la formazione del nuovo governo. Trattative che entrano proprio oggi in una fase non più soltanto esplorativa. Babbo Natale porterà in dono il nuovo esecutivo, oppure dovremo aspettare la Befana e oltre? L’unica certezza è che la Cancelliera sarà più condizionata di quanto lo fosse dai socialdemocratici, nei rapporti con Washington, in quelli con la Russia, ma soprattutto, e la cosa ci interessa, nella difesa del rigore finanziario e nella contrarietà al concetto, spesso leggendario, della «Germania che paga per tutti». Noi italiani avremo forse nostalgia di Wolfgang Schäuble, diventato presidente del Bundestag? Più che possibile.
E per rimanere in tema di elezioni, come dimenticare l’Austria dove l’europeista Sebastian Kurz vuole governare assieme all’ultradestra dell’antieuropeista Strache? Sarà a favore della Ue, l’inevitabile compromesso per il quale si tratta ancora? E dove andrà la Repubblica Ceca sotto la guida del magnate Andrej Babis, privo di orientamenti ben definiti? In Europa, lo si è visto anche ma non soltanto in Austria, sembrano avanzare verso ovest i confini del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Rep. Ceca e Slovacchia) e delle Repubbliche Baltiche, il loro iper-nazionalismo, il loro rifiuto di passare dalla «chiesa» di Mosca a quella, temuta più che reale, di Bruxelles. Il progetto sulla redistribuzione dei rifugiati dall’Italia e dalla Grecia, peraltro poco rispettato anche da altri soci, dimostra una ferma volontà di questi Paesi di fare da sé, rimanendo però beneficiari dei generosi finanziamenti comunitari. Si va prospettando una «Europa separata» all’interno dell’Europa, e questa formula subdola quanto interessata è oggi certamente più insidiosa per la Ue della Brexit britannica. Che scuote quasi quotidianamente il governo di Londra, moltiplica le preoccupazioni degli stessi britannici per la loro economia, e non trova di sicuro un elemento di consolazione quando Theresa May indica con simbolico decisionismo la data-limite del divorzio sulla Manica.
Una citazione in questo cahier de doléancesspetta di diritto alla Catalogna, e non soltanto perché Puigdemont si è rifugiato a Bruxelles. Sin qui l’Europa non è in alcun modo intervenuta nella questione interna spagnola, e ha fatto bene. Ma se gli eccessi di Rajoy (gli arresti dei rappresentanti indipendentisti) faranno perdere a Madrid le elezioni del 21 dicembre, l’Europa non potrà più evitare una mediazione capace di portare, nel migliore dei casi, a negoziati su un allargamento dell’autonomia catalana e non più all’indipendenza. Con l’aggravante che potrebbe essere troppo tardi per discutere. Le abbiamo lasciate volontariamente per ultime, le elezioni italiane previste per marzo che si iscrivono a pieno titolo nella cornice di una Europa sopravvissuta sì, ma ancora preda delle sue infermità.
Non occorre andar lontano per fare due constatazioni che dovrebbero allarmarci e che di sicuro allarmano tutti i nostri partner europei. Primo, il rischio ingovernabilità per assenza di maggioranza. E le trattative modello tedesco o austriaco che da noi sarebbero ancora più fragili e incerte con un sicuro effetto destabilizzante. Secondo, per quanto riguarda i programmi in generale e specificamente quelli sull’Europa, in Italia si preferisce navigare nella nebbia. Cinque Stelle ha modificato i suoi radicalismi iniziali, in particolare sull’euro: fino a che punto, con quali modalità e a quali condizioni? E dietro le battute cosa si pensa nel Pd (quale? ) o in Forza Italia, comunque attori importanti del dopo voto? L’Europa, lo dobbiamo capire, sopravviverà comunque, con l’Italia in prima fila o nelle retrovie per autolesionismo. Gli sbandamenti e la scarsa amicizia di Donald Trump sono potenti tonici per non affondare adesso. E qualcosa degli ambiziosi progetti integrativi di Macron arriverà alla meta malgrado una Germania con il freno tirato, sarà centrale l’Eurogruppo, ci saranno le diverse velocità. È l’Italia che deve decidere se vuole vivere con l’Europa, non viceversa.

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