Fonte: La Stampa
di Marco Bressolin
Per confondersi con i turisti. I trafficanti originari dei Paesi dell’Est
Per salire a bordo servono fino a seimila euro. Con uno sconto del 50 per cento riservato ai bambini. Si parte dalle coste meridionali della Turchia e poi lo skipper punta verso il Sud dell’Italia. Si sbarca in un porto minore e, se tutto va bene, si fugge a piedi. Anche i viaggi della speranza hanno una loro «prima classe», in barca a vela nel Mediterraneo. Ma non è detto che tutti i migranti che usano questa rotta siano «ricchi». Anzi, alcuni hanno impegnato tutto ciò che avevano per fuggire clandestinamente nel nostro Paese, un investimento alla ricerca di un futuro migliore. Con un viaggio meno rischioso di quelli sui gommoni «made in China».
Chiuso (anche se non sigillato) il portone della rotta libica, per entrare in Europa (e in particolare in Italia) si aprono altre porte. C’è la rotta tunisina, che al momento risulta essere la più dinamica. C’è quella algerina, che spesso punta verso la Sardegna. E ce n’è una terza che parte dalla Turchia e arriva fino alla Sicilia (sulle coste del siracusano), in Calabria e in Puglia. «Abbiamo registrato una diversificazione dei viaggi» ammette Pascale Moreau, direttrice dell’Ufficio Europa dell’Unhcr. Ed è proprio un report dell’agenzia Onu per i rifugiati a fare luce sul «cambiamento nelle rotte» usate dai migranti per arrivare nel Vecchio Continente e in Italia. I numeri non hanno ancora superato il livello «afflusso di massa», ma è il trend a preoccupare.
Nel terzo trimestre del 2017, complice la stagione estiva, si è intensificato il traffico di barche a vela sulla rotta turca. Un canale d’accesso che aveva iniziato ad aprirsi, piano piano, nella primavera del 2016, parallelamente alla chiusura della rotta balcanica. Ma negli ultimi mesi gli sbarchi sono aumentati. Gli agenti di Europol stanno monitorando la situazione e fanno sapere di aver già intercettato 160 imbarcazioni. E chissà quante sono sfuggite ai radar, mischiate tra i turisti. C’è un identikit preciso dei trafficanti: il business è nelle mani di gruppi criminali transnazionali. Gli skipper sono ucraini, russi, bielorussi e georgiani. In alcuni casi – dicono dall’Aja – si tratta di turchi, siriani o azeri.
Il prezzo arriva «fino a 6.000 euro per passeggero», ma varia molto. Fonti di Europol spiegano che il costo del biglietto «dipende dalla nazionalità, dal tipo di barca e dal numero di migranti a bordo». Per questo «non si può dedurre che la rotta sia accessibile esclusivamente a migranti ricchi». Anche per i «clienti» c’è un preciso identikit: in Italia, a bordo delle barche a vela gestite dal racket dell’Est, arrivano iracheni, pachistani, iraniani, afghani e siriani.
Ma non è l’unica via di fuga dalla Turchia. Perché nonostante il patto tra l’Ue ed Erdogan sia ancora in vigore, i dati dimostrano che il sistema scricchiola. A settembre la Grecia ha registrato 4.800 arrivi, il numero mensile più alto dal marzo 2016, quando è stata firmata l’intesa tra Bruxelles e Ankara. C’è poi la rotta del Mar Nero, attraversato da chi scappa dal Nord della Turchia per andare in Romania.
Nel Mediterraneo sono invece le coste spagnole a registrare l’incremento maggiore di sbarchi: +90% nel terzo trimestre di quest’anno, principalmente dal Marocco. Per quanto riguarda le partenze, il primato spetta alla Tunisia: +120%, con circa mille arrivi nel solo mese di settembre. I tunisini hanno scavalcato i nigeriani nella classifica delle nazionalità sbarcate in Italia. Ma anche l’Algeria ha fatto segnalare un aumento del 60%. È sceso invece a quota 21.700 il numero degli arrivi dalla Libia nell’arco del trimestre estivo, «il dato più basso in quattro anni per questo periodo». Nonostante ciò, dall’inizio dell’anno il numero di morti nel Mediterraneo sfiora già quota 3.000.