22 Novembre 2024

Cresce il numero di giovani africani affascinati dalla rivolta allo «status quo». Una sfida per i governi e per l’Europa

Il G7 a presidenza italiana ha posto il problema dell’Africa e delle migrazioni. Vi hanno partecipato alcuni presidenti africani. Il tema delle migrazioni è da tempo al centro delle preoccupazioni occidentali. Bisogna chiedersi cosa sta veramente avvenendo in Africa. È un continente di giovani: su un miliardo e 400 milioni di africani, il 60% sono al di sotto dei 24 anni. Un popolo di giovani, ragazzi e bambini, destinato a crescere nei prossimi anni. I giovani africani sono tanti e hanno fame di futuro e di lavoro, ma trovano scarse opportunità nei loro paesi. Tra di loro si respira un clima da ’68 — se posso usare questo paragone —, che non si risolve per lo più in politica ma si esprime nella diffusa voglia di uscire da una situazione in cui i giovani si sentono imprigionati.
Sono stato recentemente in Burundi, il Paese più povero del continente, e ho parlato con vari giovani: quasi tutti angosciati dal futuro e dalla mancanza di lavoro. Molti pensano di emigrare anche non lontano: in Congo, Mozambico e Zambia. L’emigrazione è la via d’uscita da una situazione bloccata. Il «viaggio» spesso è una sfida, raccolta con energia giovanile, spirito di avventura e voglia di un futuro diverso. Si sfidano le grandi difficoltà di un percorso arduo, per lo più note. Così una corrente di africani si riversa nei Paesi limitrofi e sono la maggior parte dei migranti del continente, anche se noi europei abbiamo spesso la convinzione che gli africani vengano tutti in Europa. C’è anche la migrazione verso il nostro continente e gli Stati Uniti via centro America (il Messico calcola che nel 2023 sono arrivati circa 60.000 africani diretti negli Usa, mentre nel 2022 erano 6.500).
Ma c’è anche un altro fenomeno che tocca i giovani, molto meno consistente numericamente, ma assai significativo: è l’adesione ai movimenti jihadisti, che reclutano tra scontenti e spaesati. Nel Nord del Mozambico si sta verificando dal 2017 un’insorgenza islamica, minacciosa nei confronti di uno Stato che ha forze armate deboli e rischia di essere infiltrato. Il Nord, povero, è stato sconvolto dall’azione di società internazionali e nazionali titolari di concessioni minerarie. Ben 950.000 mozambicani sono sfollati per la guerriglia islamista, fermata solo dalle truppe ruandesi e di altri Paesi. Per non pochi giovani aderire al movimento islamista, anche prima della lotta armata, è una contestazione a una generazione adulta, considerata corrotta e incapace. È un fenomeno che si ritrova anche in Congo, nel Sahel e altrove.
I mozambicani del Nord parlano di «novos musulmanos». Sono non musulmani, motivati dalla rivolta allo status quo, dalla buona paga, tripla rispetto all’esercito, e dalla possibilità di saccheggi. Tra i guerriglieri si trovano insomma giovani cristiani, convertiti all’islam. Questo mostra la fragilità di alcuni settori cristiani. Ma soprattutto evidenzia come il jihadismo, nonostante la qualificazione islamica, sia divenuto una specie di «guevarismo», capace di raccogliere la protesta e la rivolta al di là dell’islam. Il jihadismo interpreta la ribellione dei più giovani, spesso ignari sulle finalità del movimento, mentre offre loro risorse e una visione manichea del mondo. La politica jihadista è sovente violentemente anticristiana. In Mozambico niente garantisce, se non gli eserciti stranieri, che le infiltrazioni non si spingano al di là del Nord e infragiliscano gravemente lo Stato.
Nella regione congolese del Kivu, il processo di trasformazione in movimento islamista della ribellione etnica di origine ugandese, l’Adf, ha attirato anche non musulmani e cristiani. Che il radicalismo islamico sia l’approdo di tanti giovani disperati e senza orientamento lo si è visto in Burkina Faso, Mali e Niger e altrove. In Burkina Faso, in presenza di un esercito piuttosto organizzato (al potere dal 2022), i gruppi armati controllano ormai il 40% del territorio nazionale.
I giovani africani sono la grande questione del continente: la crisi della scuola pubblica (specie in alcuni Paesi), le poche opportunità di lavoro, l’urbanizzazione, fanno sì che i giovani siano abitati da uno spirito di rivolta allo status quo, che prende strade diverse. Questo deve rendere i governi africani più pensosi e l’Europa capace di cooperazione adeguata alle sfide.

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