Fonte: Corriere della Sera
di Franco Venturini
Il presidente Usa adesso è più forte. E noi, italiani ed europei, dovremo migliorare i rapporti con la Casa Bianca
L’assoluzione di Donald Trump al termine delle indagini sul Russiagate non cambia soltanto la politica americana. Com’è inevitabile il Rapporto Mueller attraversa l’Atlantico, bussa alle nostre porte di italiani e di europei, impone a noi, che siamo i principali alleati degli Stati Uniti, nuove riflessioni su quella comunità di valori e di interessi che dalla fine della seconda guerra mondiale abbiamo chiamato Occidente. Conviene partire dall’ovvio: ora che ha ottenuto un certificato di buona condotta il capo della Casa Bianca si rafforza, e diventa(cosa che forse era già) il favorito delle elezioni presidenziali del novembre 2020. Soprattutto se il Partito democratico continuerà a puntare sulla carta ormai logora del complotto con il Cremlino, dimenticando che servono piuttosto programmi chiari e candidati centristi, né troppo giovani né troppo vecchi, in grado di battere il presidente a caccia di conferma. Candidati che al momento non esistono, e non si vedono nemmeno all’orizzonte se Michelle Obama continuerà a dire no. Ne consegue, per noi italiani e per noi europei, un forte interesse a migliorare i rapporti con una Casa Bianca che potrebbe non cambiare inquilino nei prossimi cinque anni e nove mesi. Dopotutto sappiamo che il disordine mondiale sta diventando sempre più pericoloso, e che la nostra sicurezza dipende in larga misura dalla mano (nucleare e non soltanto) che l’America ci tiene sulla testa. Ec’è dell’altro, perché i nostri valori democratici sono ancora simili se non proprio identici a quelli statunitensi e i nostri reciproci interessi commerciali restano fondamentali.
Ma qui cominciano i problemi: come possiamo davvero migliorarli, questi rapporti con l’interlocutore superpotente che ora promette di durare? L’interesse è di tutti, è europeo, ma dovremmo forse rimangiarci le nostre posizioni in materia commerciale? Oppure smetterla di difendere il multilateralismo, inviso a Trump. E smetterla anche di far avanzare la difesa europea, garantendo invece massicci finanziamenti a quella (preziosa) della Nato. E rinunciare a dire che l’accordo nucleare con l’Iran non è perfetto, ma è molto meglio di niente. E non spiegare più che gli europei sono assolutamente a favore del diritto di Israele a difendere con ogni mezzo la sua sicurezza ma purtroppo non condividono il riconoscimento Usa dell’annessione del Golan (che ci priva di argomentazioni sull’annessione russa della Crimea, scrive il Financial Times), né vedono con favore lo spostamento delle ambasciate a Gerusalemme (con la recente eccezione della Romania) almeno fino a quando resterà misterioso il piano di pace tante volte annunciato e magnificato da Trump. E poi dovremmo star zitti sull’ambiente. E su altri trattati che sono stati vanificati da questa Amministrazione americana.
Se l’Europa facesse una simile ritirata, o se la facesse anche un solo Paese europeo (per esempio un Paese guidato da sovranisti ma poco portato alla sovranità, ogni riferimento è voluto) il progetto dell’Unione commetterebbe uno spettacolare suicidio. E la stessa sorte toccherebbe alle nazioni che dell’Unione fanno parte, perché nessuna, forse con la parziale eccezione della Germania, sarebbe in grado di uscire dall’isolamento cui le condannerebbe l’imminente «Nuovo ordine» gestito da Usa, Cina e Russia (quest’ultima soltanto grazie al suo arsenale nucleare).
Donald Trump, questa è l’unica constatazione possibile, ha allargato l’Atlantico oltre i limiti di tolleranza. Ha modificato o capovolto decenni di politica estera e commerciale dell’America, ha puntato tutto sui rapporti bilaterali ma senza trattati (nemmeno quelli per il controllo degli armamenti nucleari, e l’Europa è a rischio anche qui), ha stracciato un «vecchio ordine» che dal ’45 gli Usa avevano edificato e difeso. Il che non significa che Trump abbia sbagliato tutto. Quando reclama maggiori spese europee per la difesa comune, ha ragione. Quando avverte che andare con la guardia bassa all’incontro con il gigante cinese comporta pericoli strategici, ha di nuovo ragione e per fortuna i paletti di Mattarella hanno evitato il peggio (ma i patti commerciali firmati da altri Paesi europei con Pechino non vanno confusi con il ben più impegnativo accordo globale sottoscritto dall’Italia nel Memorandum). E ha avuto ragione, il presidente Usa, nell’individuare per tempo la sfida commerciale e tecnologica che lo contrappone a Pechino e che deciderà i rapporti di forza all’interno del G-3 prossimo venturo.
Ma per seguire le sue visioni, anche quelle giuste, Trump ha gravemente lesionato l’idea stessa di Occidente. Ha moltiplicato i dissensi e le prepotenze verso i suoi alleati europei, Germania in testa. Ha insistentemente cercato contatti bilaterali che accentuassero le divisioni interne della Ue. Ha tifato per una Brexit «dura» e contagiosa. Si è avvicinato all’Europa dell’Est contro quella dell’Ovest, in particolare sulla Russia. Insomma, ha scavato un solco troppo profondo per consentire ora di riempirlo velocemente come se nulla fosse accaduto.
Il rafforzamento politico e forse il prolungamento della presidenza di Donald Trump confermano quel che gli europei e gli italiani dovrebbero già sapere. Che il futuro dell’Europa intera sarà deciso dalle due prove epocali che l’attendono: prima le elezioni di fine maggio per tenere in vita una Unione rinnovata proteggendola dai sabotatori alla Bannon, poi il coraggio delle proprie opinioni e della propria forza economica per trovare posto nella scomoda cornice del «nuovo ordine». A ben vedere, è soltanto una ricetta per la nostra sovranità.