Democrazia e rappresentanza: dal 2006 i parlamentari non sono «eletti» dai cittadini ma «nominati» dalle segreterie di partito tramite liste bloccate
Le democrazie rappresentative appaiono a molti in declino. In realtà in declino sono solo quelle, tra cui l’Italia, caratterizzate da sistemi di partito destrutturati. Nelle altre, i Parlamenti assolvono ancora pienamente alle loro funzioni, come negli Stati Uniti ove il Congresso ha il potere di rifiutare al Presidente la spesa per gli aiuti militari ad Ucraina ed Israele, o in Germania, Spagna, Regno Unito e nelle cosiddette piccole democrazie (Scandinavia e Olanda) ove i Parlamenti restano al centro della vita politica anche se talora scavalcati da referendum, come nel caso della Brexit.
La teoria di un progressivo declino delle assemblee legislative e della democrazia rappresentativa sembra invece trovare evidenza nel caso italiano, e non per la caduta di partecipazione elettorale comune ad altri sistemi in cui il Parlamento conserva la propria vitalità, ma per l’obiettiva perdita di ruolo delle nostre Camere. A molteplici cause strutturali di lungo periodo — quali innanzitutto il trasferimento ad entità sovranazionali di molte cruciali decisioni di politica monetaria o energetica, o di politica estera e della difesa — si sono unite nel caso italiano cause specifiche. Valga un esempio per tutte: la decisione del primo governo Berlusconi di non rispettare la prassi di affidare la presidenza della Camera all’opposizione, decisione mantenuta in seguito anche dal centro-sinistra, con effetti profondi sui lavori parlamentari. Si pensi ad esempio all’approvazione della legge di bilancio, ove si è assistito al consolidarsi della prassi che vede il Governo presentarne il progetto in una Camera che può esaminarlo con tempi adeguati, salvo poi vederlo modificato da continui emendamenti governativi ed infine da un maxi emendamento sul quale il Governo pone la fiducia. Alla seconda Camera restano così solo 2-3 giorni per l’approvazione di un testo inemendabile, pena il ricorso all’esercizio provvisorio, il tutto nel totale silenzio dei Presidenti delle Camere, il cui compito non è quello di agevolare il Governo nell’approvazione del suo programma ma quello di garantire a tutti i componenti dell’Assemblea di poter operare senza condizionamenti. Chiunque ricordi la personalità di Presidenti quali Pertini, Iotti, Ingrao, Fanfani, Cossiga, Scalfaro o Spadolini — e altri potremmo ricordarne espressi dalla maggioranza o dalle opposizioni — sa che nessuno di loro avrebbe tollerato che sotto la sua presidenza avvenisse un tale scempio del ruolo del Parlamento e conseguentemente della opposizione.
Anche se di minor gravità, altri casi sono stati rappresentati dalla mancanza di un adeguato dibattito sull’azione del Governo per la revisione del Pnrr o per la definizione del nuovo Patto di stabilità. Ma un caso altrettanto clamoroso è stato rappresentato dalla proposta di tutte le opposizioni sul salario minimo, su cui il Governo ha prima temporeggiato, rinviandola poi al CNEL, e infine, trasformando una proposta di legge delle opposizioni in una delega al Governo. Tutti sanno che le leggi delega o vengono fatte decadere o si traducono in decreti legislativi che il Parlamento non può modificare. Una iniziativa delle opposizioni è stata così trasformata, di nuovo nel silenzio delle Presidenze che non ne hanno sollecitato un tempestivo esame, in una delega al Governo che esautora il Parlamento e scippa l’opposizione di una iniziativa che riteneva vitale. È troppo ricordare che l’eccessivo tempo concesso prima del voto sulla mozione di sfiducia di Fini al governo Berlusconi permise la creazione del gruppo dei «Responsabili» e il conseguente fallimento della mozione? La tempestività dei lavori delle Camere è spesso un elemento di sostanza e non di mera forma.
La perdita di ruolo del Parlamento non deve sorprendere quando si consideri inoltre che dalle elezioni del 2006 i parlamentari non sono in realtà «eletti» dai cittadini ma «nominati» dalle segreterie di partito tramite liste bloccate. Per l’abolizione delle liste bloccate presentai nel 2011 una proposta di referendum con l’appoggio di un prestigioso comitato. L’iniziativa, inizialmente appoggiata dal Pd e dalla CGIL e da numerosi esponenti di altri partiti, fu in seguito dagli stessi abbandonata quando le firme già raccolte ne prospettavano il successo: fu un grave errore, di cui ancora si pagano le conseguenze in termini di caduta di partecipazione e di difficoltà dell’opposizione. Per poter svolgere efficacemente il proprio ruolo, qualsiasi opposizione, sia essa di destra o di centro-sinistra, ha insomma bisogno di un vitale Parlamento. Un Parlamento che non esamina la legge di bilancio, che non dibatte adeguatamente le principali decisioni in materia di politica europea ed estera, che non delibera tempestivamente i grandi interventi di politica industriale, che non si cura che l’Italia sia l’ultimo dei ventisette paesi europei (dati Ocse) per percentuale di spesa pubblica destinata all’istruzione, o destini alla sanità il 6,4% del PIL anziché il 10% come in Germania, è un Parlamento che non può rappresentare per l’opposizione un’arena in cui far sentire efficacemente la propria voce. Quanti lamentano la perdita di ruolo dell’opposizione dovrebbero innanzitutto lamentare e combattere la perdita di ruolo del Parlamento. Il progetto di riforma costituzionale del Governo non va in questa direzione.