Fonte: Corriere della Sera
di Ernesto Galli della Loggia
I parlamentari grillini si caratterizzano per il modo di esprimersi, non casuale, frutto di una scarsa dimestichezza con la dimensione «discorso»
Con i parlamentari grillini è arrivato sulla scena un tipo affatto nuovo di personale politico. Un personale politico in maggioranza giovane che in teoria dovrebbe corrispondere alla novità presunta positiva della loro azione e del loro programma. In pratica però le cose non sembrano stare proprio così, dal momento che almeno nella forma, nel modo di esprimersi, quei nuovi parlamentari tendono irresistibilmente a imitare, addirittura esasperandoli, alcuni aspetti tipici del politico italiano tradizionale. Primo fra tutti la sostanziale vaghezza dell’eloquio. Sicché ciò che specialmente colpisce dei deputati e dei senatori 5 Stelle finisce per essere la loro marcata impudenza, soprattutto quando vengono interrogati su cose che li riguardano. Allora rispondono a vanvera, svicolano, spesso replicano dando più o meno esplicitamente della canaglia a chi gli ha fatto la domanda. Sempre peraltro con l’aria di dare una risposta perfettamente appropriata e con una perentorietà dai toni ultimativi.
Un esempio tratto dalla cronaca degli ultimi giorni. È noto che con il sistema elettorale proporzionale al quale sembriamo sciaguratamente avviati, nel prossimo Parlamento un governo potrà nascere solo dall’intesa tra partiti diversi. Ovvia dunque la domanda agli esponenti del partito di Grillo, che tra un anno ha buona probabilità di essere il partito di maggioranza relativa: «Voi 5 Stelle con chi cercherete un’alleanza?».
Risposta d’ordinanza dei grillini: «Con nessuno. Sottoporremo il nostro programma a tutti, e chi ci sta ci sta. Non faremo certo accordi o compromessi». Una risposta davvero degna della serie «Pinocchio vive e lotta insieme a noi». È del tutto naturale e risaputo, infatti, che se un qualunque partito si orienta a votare il programma di governo sottopostogli da un altro — cioè in pratica a entrare con lui nella maggioranza — esso vorrà certamente avere qualcosa in cambio. O posti o la disponibilità a far passare provvedimenti che gli stanno a cuore, dal momento che nessuno dà nulla per nulla: nella vita accade il più delle volte, in politica sempre. I candidi parlamentari dei 5Stelle fingono invece di non saperlo. Immagino al solo scopo di sottolineare la loro immacolata diversità dagli altri. Ma si tratta con tutta evidenza di una bugia da furbastri. Politicantismo della più bell’acqua.
Del resto è lo stesso Beppe Grillo il maestro di questo tipo di risposte. Proprio qualche giorno fa, ad esempio, il nostro viene interrogato sul caso delle «comunarie» di Genova, dove come si sa ha fatto dimettere d’imperio la candidata risultata vincitrice, e risponde così: «È un problema di metodo. Una democrazia senza regole non è una democrazia. Noi abbiamo le nostre. Io sono il garante e le faccio rispettare». Già, ma delle regole ce l’hanno tutti — la mafia, l’ordine dei farmacisti, l’Automobile Club —: si tratta di vedere di che razza di regole si tratta, che cosa stabiliscono. Una regola che dà tutto il potere a uno solo sarà pure una regola, ma è certo che con la democrazia non ha nulla a che fare. La risposta di Grillo è un puro gioco di parole, insomma, non vuol dir nulla: anche qui politicantismo della peggior specie.
Intendiamoci: come ho detto, ricorrere a simili trucchi verbali, menare il can per l’aia, eludere le questioni scomode è in certa misura una cosa abituale in politica (solo in politica?). Ciò che alla fine risulta stucchevole e diciamo pure insopportabile nei 5Stelle è il fatto, però, che tutto questo si accompagna a una implacabile sicumera da primi della classe, di «diversi e migliori» in servizio permanente effettivo.
Ma il loro modo di rispondere (e in generale di esprimersi) non mi sembra per nulla casuale. È il frutto di un elemento che ascoltandoli risulta subito evidente: e cioè della loro scarsa dimestichezza, in generale, con la dimensione del «discorso». Voglio dire con la capacità di esporre spiegazioni verosimili, di articolare nessi plausibili, di modellare argomentazioni almeno in parte fondate, di usare una retorica che non sia quella elementarissima del «bianco e nero». Una scarsa dimestichezza che evidentemente rimanda per un verso alla diffusa inesperienza politico-sociale della maggior parte degli esponenti dei 5Stelle. Ben pochi dei quali hanno mai militato in un partito, sono stati iscritti a un sindacato o a un’organizzazione qualunque, e dunque non hanno mai avuto a che fare con dibattiti e discussioni, con la necessità di replicare, mediare, giustificare, propria di questo tipo di circostanze. Per l’appunto i parlamentari grillini sono i nuovi e inespertissimi arrivati nella sfera pubblica italiana.
Per un verso. Ma c’è poi un’altra spiegazione, credo, per la loro scarsa dimestichezza con la dimensione del «discorso». Con la giovane età che perlopiù li contraddistingue essi appaiono, infatti, anche il frutto compiuto dello sfasciato sistema d’istruzione del loro (e ahimè nostro) Paese. Nel loro modo di parlare e di ragionare, nel loro lessico, è facile indovinare curriculum scolastici rabberciati, insegnanti troppo indulgenti, lauree triennali in scienze della comunicazione, studi svogliati, poche letture, promozioni strappate con i denti.
S’indovina cioè un vuoto. Il multiforme vuoto italiano di questi anni, in cui tutto sembra sgretolarsi e finire. Un vuoto a cui come elettori, peraltro, si può essere pure tentati di accostarsi con la speranza — sempre l’ultima a morire — che esso celi qualcosa di buono che a prima vista non è dato di scorgere ma che forse c’è, in fondo chissà potrebbe pure esserci. Salvo restare ogni volta regolarmente delusi.
Nel caso dei grillini c’è in più Grillo, poi: per il quale tutte questa osservazioni naturalmente non valgono. Lui infatti è un’altra cosa, lui è il Capo, il pifferaio magico, il Joker casareccio che approfittando dell’assenza da queste parti di chiunque possa fare la parte di Batman, ha immaginato di diventare un giorno il padrone di Gotham City.