21 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Fiorenza Sarzanini

Lo schema seguito dal governo 5 Stelle-Lega si ripete sempre uguale. Ma agendo in questo modo si finisce per lasciare appeso il Paese a decisioni irrealizzabili


Reazione immediata con una frase ad effetto, seguita dall’annuncio di un decreto per fronteggiare il problema nel più breve tempo possibile. È questo lo schema seguito dal governo 5 Stelle-Lega. Di fronte a ogni evento — sia che abbia normale rilievo, sia che si tratti di una reale tragedia — il copione non cambia. Tutto viene vissuto, o meglio narrato, come un’emergenza da risolvere. Basta scorrere quanto accaduto in quasi quattro mesi, dal momento dell’insediamento a palazzo Chigi fino alle ultime ore. In una rincorsa tra chi dimostra di avere maggiore peso politico dell’altro, capacità di intervento e soprattutto un numero più alto di seguaci sui social. Si torna dunque a giugno, quando l’attenzione è concentrata sugli stranieri. Ogni volta che una nave delle Ong carica di migranti chiede l’attracco in un porto italiano, oppure un cittadino extracomunitario commette un reato, il vicepremier e titolare del Viminale Matteo Salvini ricorda via Facebook o Twitter che sta «lavorando a un decreto sicurezza, perché per questi la pacchia è finita». Si arriva a metà agosto. Appena poche ore dopo il crollo del ponte Morandi a Genova, mentre ancora il bilancio delle vittime è provvisorio e si scava tra le macerie alla ricerca dei superstiti, lo stesso Salvini e l’altro vicepremier Luigi Di Maio si muovono sui social e nei programmi televisivi di maggior ascolto. Fanno sapere che «la concessione ad Autostrade sarà revocata con un decreto e dopo dieci giorni nomineremo un commissario per la ricostruzione». Danno la sensazione che tutto è già stato deciso e in appena pochi giorni sarà risolto. La realtà si dimostra ben diversa.
Il provvedimento sulla sicurezza è stato approvato ieri a Palazzo Chigi, dopo numerosi «passaggi» tra i ministeri dell’Interno e della Giustizia e «suggerimenti» arrivati dal Quirinale. Fino a ieri sera non esisteva un testo definitivo, ma una bozza da limare e rivedere ancora. Quando arriverà al Colle dovrà essere esaminato dall’ufficio legislativo per la controfirma del presidente della Repubblica. La strada per la conversione in legge da parte del Parlamento appare comunque impervia, vista la contrarietà già espressa da una parte del Movimento 5 Stelle su alcune norme che ritengono incostituzionali.
Ancor più complicato l’iter del decreto per Genova. Il testo, più volte anticipato, non ha ancora visto la luce. Proprio ieri il premier Giuseppe Conte — che nei giorni scorsi aveva respinto sdegnato le critiche per i continui rinvii — ha annunciato che sarà inviato questa mattina al Quirinale. È soltanto il primo passo, molti altri ne mancano per arrivare alla fine del percorso. Non c’è l’accordo politico sul nome del commissario, mentre sono emerse tutte le difficoltà — giuridiche ed economiche — per togliere la concessione ad Autostrade. Anche perché non c’è alcuna certezza sulla causa del crollo del viadotto e invece, per contestare le «gravi inadempienze» che consentono l’avvio della procedura, bisogna avere a disposizione dati concreti sulla responsabilità della società di gestione dell’appalto. Potrebbero essere sufficienti questi due esempi per convincere gli esponenti dell’esecutivo che in queste settimane hanno partecipato alla politica degli annunci, a muoversi con maggiore cautela. Perché è vero che un governo interventista rassicura i cittadini, però è altrettanto vero che se alle parole non si fanno seguire i fatti si dimostra di non essere all’altezza del compito. E intanto si possono creare situazioni poi difficili da risolvere.
La scorsa settimana una donna detenuta nel carcere di Rebibbia ha buttato i suoi figli piccoli dalle scale e li ha uccisi. Appena qualche ora dopo, senza attendere le verifiche su eventuali responsabilità, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha annunciato la sospensione dal servizio della direttrice dell’istituto. Un provvedimento firmato in via d’urgenza, nonostante gli esperti siano concordi nel ritenere quel reparto penitenziario «un’eccellenza». Non c’era alcuna emergenza eppure anche in questo caso si è deciso di agire sull’onda dell’emozione. Si è scelto evidentemente di procedere per dare la sensazione di avere la soluzione pronta. Invece il problema è proprio questo: prima di intervenire sarebbe opportuno analizzare quanto successo, esaminare le possibili risposte, riflettere sulle conseguenze. Per evitare di annunciare ciò che non si può fare. Lasciando il Paese appeso a decisioni irrealizzabili.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *