Fonte: Corriere della Sera
di Angelo Panebianco
In certe circostanze l’aggressività può anche tradursi in violenza fisica. In ogni caso, può innescarla e alimentarla
L’aggressione verbale di un professore universitario nei confronti di Giorgia Meloni, con connesso linguaggio da trivio, ci ricorda che la politica, oltre a un lato chiaro e pulito, ha anche un lato oscuro. Tenuto conto dei termini usati e dato che l’insultata è una donna, si può anche ritenere l’aggressione a Meloni un caso di sessismo. Ma sicuramente c’è dell’altro, di stretta attinenza con la politica. Escludendo tanto i professionisti, coloro che se ne occupano per mestiere, quanto i tantissimi che le prestano poca o nessuna attenzione, ciò che resta è una minoranza di cittadini che si interessa alla politica amatorialmente ma in modo continuo. Questa minoranza va divisa in due categorie. C’è la categoria di quelli che manifestano per la politica un interesse sano, non viziato da morbosità o da turbe di alcun genere. Sono coloro che, legittimamente, si sforzano di comprendere se e come la politica possa avere un influsso, positivo o negativo, sul loro Paese, su loro stessi, sui loro figli. Hanno ovviamente simpatie e antipatie partitiche o ideologiche. Apprezzano quello e detestano quell’altro. In ciò non c’è nulla da eccepire. C’è però anche una seconda categoria di persone che si interessa alla politica. Ne fanno parte individui, diciamo così, problematici. Sono coloro che usano la violenza verbale contro quelli che ritengono propri nemici politici. Sono gli odiatori in servizio permanente. Rappresentano il lato oscuro della politica. La loro aggressività, in certe circostanze, può anche tradursi in violenza fisica. In ogni caso, può innescarla e alimentarla. È questo il «vivaio» che fornisce la manovalanza che entra in azione tutte le volte che la politica attraversa una fase di forte turbolenza.
Si noti che, talvolta, ci si può anche imbattere in persone che all’inizio danno l’impressione di essere normalissime. Poi, a un certo punto, ti accorgi che c’è qualcosa che non va, il loro cervello, che sembrava ben funzionante, va in tilt appena si mettono a parlare di politica. Ricordo un tale, ad esempio, apparentemente sano di mente, che, alla fine degli anni Novanta, affermava che per lui tutti gli elettori di Forza Italia (stava parlando di milioni di persone) erano dei delinquenti e dei depravati. Egli era uguale in tutto e per tutto ad altri che, ai tempi della Guerra fredda, consideravano farabutti e assassini gli elettori del Partito comunista. Diciamo, per lo meno, che esistono casi borderline (non mi riferisco allo specifico disturbo così chiamato), persone a cavallo fra la categoria dei sani e quella degli insani.
La domanda sbagliata da porsi sarebbe: perché la politica esercita effetti così negativi sulla mente di certe persone? La domanda giusta è un’altra: che cosa c’è nella politica che attira irresistibilmente l’attenzione e l’interesse di persone sul cui equilibrio mentale è lecito avere forti dubbi? Ciò che le attira, plausibilmente, è una particolare «qualità» della politica, una qualità che la distingue da altre attività umane. Essa offre alle persone la possibilità di scegliersi una qualsivoglia «nobile causa» il cui perseguimento legittimi ai loro occhi, ma anche di altri che le osservano, l’adozione di comportamenti aggressivi. In questo simile a certe religioni, la politica ha la caratteristica di permettere alle persone di trasformare le proprie frustrazioni private in violenza contro gli altri nascondendone a se stessi (è una forma di auto-inganno) i veri motivi. Prendete un individuo molto frustrato a causa di vicende private. Se potesse scaricherebbe la frustrazione accumulata prendendo a schiaffi il primo che capita o ricoprendolo di insulti. Ma, in tal caso, non potrebbe giustificare in alcun modo, né davanti a se stesso né davanti agli altri, il proprio comportamento. Ma se ci mette di mezzo la politica, tutto cambia. Egli potrà accampare nobili ragioni per giustificare se stesso: «Aggredisco il tale non perché mi fa stare meglio scaricare la mia aggressività su altri, ma perché lui, o lei, come dimostra la sua attività politica, è il diavolo, il male assoluto, eccetera». Aggredisse un passante incorrerebbe nella riprovazione generale. Ma prendendosela con il tal politico, e raccontando a se stesso e agli altri che lo fa per ottimi motivi, può contare, per lo meno, sulla solidarietà di quelli come lui, di quelli che gli assomigliano. Quella solidarietà, spesso, lo rende forte e sicuro di sé.
Da quanto sopra detto discendono varie conseguenze. Ne cito due. In primo luogo, in contesti politici con forti divisioni, ad elevata temperatura ideologica (l’Italia), persone come quelle sopra indicate apprezzano della politica soprattutto le posizioni più estremiste. Sia chiaro: non bisogna affatto pensare che tutti gli estremisti appartengano al club dei frustrati. Alcuni scelgono posizioni estreme per calcolo razionale. Altri però trovano nell’estremismo (di qualsiasi colore) un mezzo per dare sfogo all’aggressività.
La seconda considerazione è che spesso la «violenza paga»: i frustrati violenti hanno l’aria di essere pericolosi e molti, per paura o per quieto vivere, finiscono per assecondarli. Per fare un solo esempio, si pensi all’arrendevolezza di varie autorità, al momento soprattutto anglosassoni, di fronte alla protervia di quelli che pretendono di riscrivere la storia eliminando statue, cambiando i nomi di Università, eccetera. In molte occasioni, paga, eccome, essere verbalmente violenti. E paga ancor di più dare l’impressione di essere pronti a esercitare la violenza fisica.
La politica ha molti aspetti. Talvolta, è in grado di trasformare «vizi privati» in «pubbliche virtù»: una combinazione di atteggiamenti spregiudicati e di ambizione smodata potrebbe fare di una persona un grande criminale ma se egli si dedicasse alla politica forse diventerebbe uno statista di alto rango, capace di fare cose buone per il suo Paese. Non sempre va così. Talvolta, dai vizi privati germogliano solo vizi pubblici.