Fonte: Corriere della Sera
di Pierluigi Battista
I partiti che facevano la maggioranza sfioravano quasi sempre il 50 per cento, senza bisogno degli anabolizzanti di premi elettorali mostruosi
Strappare un applauso scontato? Dire: «stiamo tornando ai riti della Prima Repubblica». Con contorno di: «frammentazione dei partiti», «maledizione del proporzionale»; eccetera eccetera. Tuttavia, pur nella damnatio memoriae, dovremmo tentare di salvare qualche brandello di verità storica. Per oltre quarant’anni, accompagnando la grande modernizzazione italiana, la Prima Repubblica ha conosciuto la massima stabilità delle coalizioni di governo: se c’era un difetto era la ripetitività, l’uniformità, la quasi certezza che a strappare la vittoria sarebbe stata la Dc e i partiti ad essa alleati, non certo l’ingovernabilità e il caos. I partiti che facevano la maggioranza sfioravano quasi sempre il 50 per cento senza bisogno degli anabolizzanti di premi elettorali mostruosi, e se il 1953 perse la cosiddetta legge truffa, nei quarant’anni successivi, con la stagione centrista, poi con il centrosinistra e poi con le varie combinazioni del pentapartito, le maggioranze hanno sempre funzionato.
Con il sistema proporzionale c’erano molti partiti, ma mai come nella stagione del maggioritario della Seconda Repubblica, dove le sigle parlamentari si sono moltiplicate con un ritmo assurdo. Le transumanze da un partito all’altro, con cambi di casacca in massa in Parlamento, triste spettacolo nella Seconda Repubblica, nella Prima erano pressoché sconosciute. E non esistevano i ribaltoni, prassi consueta nella Seconda, e i governi che si formavano, e già si vedono i professionisti dell’antipopulismo compulsare infastiditi i loro manuali costituzionali che non prevedono l’elezione diretta del governo, corrispondevano al voto espresso dagli elettori: mai si è data nella Prima Repubblica una maggioranza parlamentare che smentisse quella espressa dalla volontà popolare, fenomeno costante nella Seconda.
Anzi sì, una volta, tra il ’76 e il ’79, ma era un momento eccezionale, con l’Italia martoriata dal terrorismo e dallo stragismo. Con molti governi, sì, ma sempre dello stesso segno politico, al massimo come compensazione (i rimpasti, le decantazioni, i «balneari» e via bizantineggiando) tra le correnti della Dc: sai che instabilità. Nella Prima Repubblica non c’era la nevrosi delle leggi elettorali perché i partiti, di governo e di opposizione, avevano una cosa importante in una democrazia: molti voti. Oggi, no.