20 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Alberto Mantovani

È positivo che si voglia creare un’Agenzia, ma occorre incrementare i finanziamenti e puntare sul trasferimento tecnologico, che è ancora insufficiente


Negli scorsi giorni, la rivista scientifica Naturemi ha chiesto un parere sulla costituenda Agenzia della Ricerca proposta nella Legge di bilancio. Non conoscendone in dettaglio la governance e i meccanismi di funzionamento e finanziamento, non posso esprimere giudizi specifici. Posso tuttavia affermare che è certamente positivo che nel nostro Paese si torni a parlare di ricerca scientifica, argomento da troppo tempo negletto e mai prioritario.
Eppure, ricerca e innovazione costituiscono il futuro del nostro Paese. Un futuro sul quale investiamo troppo poco: annualmente circa l’1,2% del Pil, meno della metà di tutti gli altri Paesi industrializzati. Non può che essere auspicabile, dunque, che la Ricerca diventi per l’Italia una priorità riconosciuta con un accordo multipartisan.
Dovremmo prendere esempio, in questo, dai nostri competitori. La Germania, dove in uno dei momenti più bui della recessione economica e di tagli pesanti agli investimenti pubblici Angela Merkel ha aumentato il sostegno a istruzione superiore e ricerca. E più recentemente, a capo di una grande coalizione, ha dichiarato di voler portare l’investimento in ricerca dal 3 al 3.5%. L’Inghilterra, dove Theresa May in previsione della conseguenze negative della Brexitsulla ricerca britannica ed europea aveva promesso 19 miliardi di sterline per compensare le perdite, cifra che l’opposizione laburista aveva chiesto di aumentare. E infine gli Usa, dove nonostante la netta divisione politica tra repubblicani e democratici è stata respinta la decisione del presidente Trump di tagliare del 20% il sostegno finanziario agli Nih (National Institutes oh Health), ed è stato approvato in modo bipartisan (con 94 voti favorevoli e 5 contrari) un finanziamento di 19 miliardi di dollari per la ricerca biomedica.
Guardando gli esempi internazionali, posso dire che nel mio settore, quello biomedico, il modello di un’Agenzia unica per la Ricerca non è il solo. Nel mondo anglossassone la ricerca biomedica è di fatto orchestrata dal Medical Research Council (Uk) e dagli Nih (Usa), con risultati eccellenti. Nel nostro Paese un’eventuale Agenzia per la Ricerca dovrebbe essere accompagnata da un programma di investimenti a lungo termine e da una riflessione sui tanti limiti del nostro Sistema. Fra questi, innanzitutto l’insufficienza dei finanziamenti, che rende necessario un impegno multipartisan — in grado di rimanere un punto fermo al di là del governo del momento — ad aumentarli, in modo programmato e costante, negli anni futuri.
Ancora, manca uno sportello pubblico affidabile, con bandi annuali, per la ricerca di base: da qui infatti sono nate molte — se non tutte — le rivoluzioni della medicina, compresa, nel mio settore, quella delle terapie immunologiche contro il cancro. Inoltre, nel nostro Sistema pubblico mancano quasi del tutto — con l’unica notevole eccezione del ministero della Salute — i grant assegnati a ricercatori singoli indipendenti, che costituiscono il pilastro fondamentale di ogni sistema normale di ricerca. Infine, il trasferimento tecnologico è gravemente insufficiente: i dati dicono che l’imbuto fisiologico esistente fra ricerca e trasferimento, da noi è molto più stretto rispetto agli altri Paesi.
Senza una visione che affronti i tanti problemi del sistema ricerca italiano, una chiarezza sui meccanismi di governance e un impegno pluriennale condiviso di investimenti, il rischio è quello di un’operazione più di facciata che di sostanza, che è auspicabile non interferisca con quanto funziona. Il tessuto di formazione e ricerca del Paese continua a dar vita a giovani straordinari dal punto di vista sia della capacità di ricerca sia della passione: è, questo, un vero miracolo italiano. E proprio i nostri giovani, che rappresentano il futuro, meritano che la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica diventino una priorità multipartisan a lungo termine, dal punto vista sia degli investimenti sia della visione.

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