22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

Il racconto dell’endocrinologa dell’Airc: «Dietro ogni vetrino vedo Francesca e le persone che potremmo aiutare»


Avrebbe preferito investigare sui meccanismi delle patologie del colon invece un avvenimento doloroso della vita privata l’ha «chiamata» altrove. Aprile 2005, Matilde Todaro, endocrinologa palermitana, policlinico universitario, risponde alla telefonata della sorella Lorenza: «Mi devi aiutare, hanno scoperto che ho un nodulino al seno».
In un attimo Matilde finisce in un frullatore di ansia e paura ma mantiene il sangue freddo e organizza il percorso terapeutico per quella che è anche la sua migliore amica. Si scoprirà che il tumore è particolarmente aggressivo, un triplo negativo, le cellule prive di recettori cui i farmaci possano attaccarsi. Dunque, dopo l’intervento bisogna procedere con le cure tradizionali, chemio e radio, sperando che nel frattempo la malattia non abbia guadagnato altro terreno.
Lorenza alla fine ce la fa. Ora è una donna guarita e racconta di quanto in realtà non abbia mai temuto di morire: «Con me avevo Matilde». In quanto alla professoressa Todaro dal giorno della telefonata non è riuscita a staccarsi da questo campo di azione. È una delle ricercatrici di punta di Airc che ancora tutta questa settimana sarà presente in diverse città per promuovere l’attività dell’associazione e spiegare alla gente come vengono investiti i fondi raccolti anche con donazioni individuali (attraverso il numero verde 45521, l’acquisto di cioccolatini nelle piazze sabato 9 novembre e il sito Airc.it).
Dal 2009 tutte le pubblicazioni firmate Todaro sono dedicate al carcinoma della mammella e allo studio della resistenza delle metastasi alle terapie convenzionali. «La vita in laboratorio non mi pesa nonostante spesso là dentro trascorro la notte, piegata sul microscopio o rinchiusa nella camera sterile. Alba e tramonto non fanno differenza. Ogni giorno mi sveglio felice di cominciare la giornata e mi sento fortunata al pensiero di avere un lavoro come questo, entusiasmante per me, al servizio dei malati. Fare ricerca significa possedere il privilegio di andare oltre il sintomo. Dietro ogni vetrino vedo l’immagine di Lorenza e penso a tutte le persone alle quali noi potremmo dare una risposta».
l suo fianco c’è il marito, Giorgio Stassi, capo del laboratorio, impegnato su tiroide e colon. «Ci siamo conosciuti all’università di Palermo e da subito abbiamo condiviso l’amore per la conoscenza. La vita coniugale non è semplice. Magari ingaggiamo discussioni accese al lavoro e una volta a casa mettiamo tutto alle spalle. Siamo una coppia unita, non credo che un altro uomo avrebbe potuto comprendere l’importanza di certe cose per una donna come me. Un esempio. Quando si tratta di tirare fuori i dati e ricavarne risultati il tempo sparisce e rientro in orari inusuali. Per noi è la normalità, altre coppie potrebbero spaccarsi. Quello che resta della giornata lo dedichiamo a noi. Abitiamo a Mondello, dunque lunghe passeggiate, bicicletta e, quando la stagione lo permette, via in barca verso Egadi e Eolie». I figli Umberto, 22 anni, studente di Ingegneria aerospaziale, e Costanza, 16, terza liceo Scientifico, sono cresciuti con i «santi» nonni Vittoria, Umberto, Lina e Nino: «Quattro persone meravigliose, senza di loro non ce l’avremmo fatta. I bambini non hanno sofferto della mia assenza perché loro, come in una favola, gli raccontavano delle tante cose belle fatte da mamma e papà».

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