Fonte: Corriere della Sera
di Massimo Franco
l patto di potere tra Salvini e l’altro vicepremier, Luigi Di Maio, rimane solido
Dopo quella sulla manovra finanziaria, il premier Giuseppe Conte sta tentando la seconda ricucitura con l’Europa, sui migranti.. Lo scontro tra il premier Conte e il vicepresidente del Consiglio e capo della Lega, Matteo Salvini, non riguarda dunque soltanto la strategia da adottare in materia di immigrazione. Riflette sia il ruolo di interlocutore che Conte ha assunto agli occhi delle istituzioni di Bruxelles, prima nella trattativa sui conti pubblici e ora sul barcone con quarantanove migranti alla rada per giorni a Malta; sia la difficoltà di Salvini a uscire dallo schema che lo vede arcigno «signor no» sull’apertura dei porti italiani.
È possibile che le parole ultimative pronunciate ieri in Polonia, prima di ripartire per Roma, siano nate nel clima «sovranista» e xenofobo di quella riunione: la prima tappa della creazione di una internazionale nazionalista e euroscettica. Ma Salvini sembra non essersi reso conto che lo schema è cambiato. Nel momento in cui le autorità maltesi hanno accettato di far sbarcare i migranti, e l’Ue di ricollocarli in otto nazioni, d’intesa con l’Italia,il rifiuto è apparso meno giustificabile. Anche perché il leader del Carroccio e ministro dell’Interno avrebbe potuto rivendicare un successo politico. Il problema migratorio ha assunto una dimensione europea, anche sotto la sua spinta aggressiva. Malta ha dovuto fare quello che prima aveva perentoriamente negato. E il governo italiano ha rotto un isolamento che poteva diventare pericoloso: soprattutto se qualcuno, a bordo, non avesse retto alla tensione e alle privazioni di questi giorni. In più, per una Lega che sta cercando faticosamente di riallacciare i contatti con l’episcopato cattolico, un’apertura sui migranti, tema caro a Papa Francesco, avrebbe assunto un significato distensivo. Ma sbaglierebbe chi prevede che su questo tema si rompa o si incrini seriamente l’alleanza M5S-Lega. Certamente, la campagna per le Europee di maggio accentuerà le polemiche nella maggioranza, e il rischio che la situazione possa sfuggire di mano non si può escludere a priori.
Ieri sera, tuttavia, si dava per scontato l’ennesimo compromesso. Il patto di potere tra Salvini e l’altro vicepremier, Luigi Di Maio, rimane solido. Il loro accordo sull’istituzione di un referendum propositivo, voluto dai Cinque Stelle, con un quorum di appena il 25%, conferma che l’alleanza va avanti: anche esautorando in prospettiva sempre di più il ruolo del Parlamento a favore della cosiddetta «democrazia diretta». Idem la decisione di salvare la Carige, presa in piena sintonia. È vero che si delinea una divergenza sulle alleanze europee. Salvini ha una strategia chiara: cerca di coalizzarsi con tutti i partiti di destra, convinto così di portare alla vittoria o comunque al successo un «fronte sovranista» che vuole rovesciare gli equilibri politici attuali a Bruxelles. Di Maio insegue invece un’identità tuttora sfuggente, tra gilet gialli francesi, forze euroscettiche, pro e anti-euro, per la democrazia diretta. Formazioni eterogenee, e interlocutori che non sempre si rivelano tali: tanto da ipotizzare un «contratto» continentale con forze più o meno affini, che ricalcherebbe quello nazionale con la Lega. Sarebbe un modo per replicare a livello continentale l’assemblaggio avvenuto in Italia dopo le elezioni politiche del 4 marzo scorso. Eppure, quanto sta avvenendo mostra più un alto tasso di confusione che un vero scontro.