16 Settembre 2024

Effetto del voto: il cambiamento silenzioso del sistema presidenziale. L’assemblea degli eletti ora è centrale. E così viene affidato al senso di responsabilità delle forze politiche la possibilità di mandare avanti progetti di legge e di riforme

Non si vedono barricate e non si odono colpi di cannone, ma quella in corso in Francia è una vera rivoluzione. Politica e istituzionale. Dopo le elezioni anticipate, il panorama è stravolto. E per forza di cose, il sistema presidenziale si sta rigenerando nel parlamentarismo, un percorso che fa una sberleffo alla tradizione gollista della Quinta Repubblica e a quanti — esegeti e ammiratori — vorrebbero importare il presidenzialismo nel loro Paese nella presunzione che questo assicuri, di per sé, la governabilità. La Francia di Macron li smentisce. Le elezioni hanno prodotto tre blocchi — il fronte della sinistra, il movimento del presidente, l’estrema destra di Marine Le Pen — oltre a una pattuglia minore di gollisti. Nei fatti nessuno ha la maggioranza e allo stato attuale qualsiasi alleanza organica appare impossibile.
Che fare allora? Il presidente ha deciso di temporeggiare, approfittando della vetrina e della pausa delle Olimpiadi e delle vacanze estive, ma prima o poi un governo occorre darlo al Paese. Tuttavia non ci sono scadenze pressanti in vista, salvo la legge di bilancio in autunno, che però potrebbe dar luogo a un esercizio provvisorio. Lo Stato, sul piano amministrativo, continua a funzionare anche quando il governo sbriga solo gli affari correnti. Nel frattempo, il presidente conserva in ogni caso alcune prerogative fondamentali: la politica estera e di difesa e il potere di nomina del primo ministro e dei ministri.
Ed ecco allora il profilarsi di una rivoluzione strisciante che rimette al centro dell’azione il parlamento e affida al senso di responsabilità delle forze politiche la possibilità di mandare avanti progetti di legge e di riforme. Senso di responsabilità che si potrebbe tradurre in accordi alla carta, progetto per progetto, e mai in patti organici. Anche se in verità un accordo contro natura si starebbe già profilando per quanto riguarda la recente riforma delle pensioni che sia l’estrema sinistra sia l’estrema destra vorrebbero abolire (con il ritorno alla soglia dei 60 anni), a conferma che il bacino popolare in cui pescano voti è quasi lo stesso, al di là del livore ideologico.
In pratica — e Macron lo ha detto chiaramente — la Francia dovrebbe cominciare ad abituarsi a un concetto estraneo alla mentalità collettiva e alla politica: l’arte del compromesso, magari guardando a quanto avviene da decenni in Italia e in Germania. Una rivoluzione appunto che avrebbe ora bisogno di un primo ministro super partes, magari espressione della società civile, autorevole e sganciato dai partiti, come fu a suo tempo Raymond Barre, che appunto fu un’eccezione. Insomma, la caccia è aperta a un «Draghi francese». Il nome che circola è quello del commissario europeo Thierry Breton, ma non è detto che sia già bruciato.
Naturalmente, la «rivoluzione» parlamentare fa storcere il naso a quanti considerano inviolabili le colonne della Quinta Repubblica e la critica si concentra su Macron, colpevole di avere sciolto l’Assemblea e avere appunto creato lo stallo istituzionale. Un esponente repubblicano ha detto che Macron sarebbe nato nella stessa congiunzione astrale di Nerone. « Il Capo dello Stato, che avrebbe voluto fare di questi Giochi il punto più alto del suo mandato, si ritrova da solo sul palco. Chissà, forse era questo l’obiettivo… », ha scritto Le Point.
Qualcuno, alludendo alle prospettive future di Marine Le Pen ricorda che Giorgia Meloni aveva rifiutato di entrare nella coalizione di Mario Draghi. «Sappiamo cosa è successo dopo». Tuttavia, occorre ricordare che proprio Macron ha battuto per tre volte la Le Pen e che l’estrema destra, dopo aver cantato vittoria, è oggi in preda a una profonda resa dei conti interna. Altri pensano che la Francia stia facendo un primo passo verso una democrazia consolidata, più inclusiva ed equilibrata, che l’Europa aspettava da tempo. La «monarchia repubblicana», con un uomo solo al comando, rischia di essere abbattuta.
In discussione anche il sistema maggioritario a doppio turno, se si ricorda che Macron, acclamato a gran voce nel 2017, aveva ottenuto meno di un terzo dei voti al primo turno. Una riforma elettorale, attesa da tempo, stabilizzerebbe il Paese, e in parte anche l’Europa. D’altra parte, non va dimenticato che la Francia ha conosciuto periodi di parlamentarismo, consegnati alla Storia con un bilancio soddisfacente. Il sistema presidenziale è un eredità del generale Charles de Gaulle, ma il contesto di allora — con la guerra d’Algeria e i rischi di guerra civile in Francia — non è più lo stesso.

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