18 Ottobre 2024

Oggi la Banca centrale dovrebbe decidere il taglio del costo del denaro per rispondere alla debolezza dell’area euro

Non è un esplicito cambio di opinione, ma qualcosa che gli assomiglia. A meno di sorprese, sempre possibili, oggi la Banca centrale europea dovrebbe tagliare i tassi d’interesse per la terza volta da giugno. Non è ciò che una maggioranza del Consiglio direttivo della stessa Bce sembrava pensare appena cinque settimane fa, dopo la seconda riduzione. All’epoca gli indizi seminati a Francoforte — dalle previsioni di inflazione a quelle di crescita dell’area euro — facevano prevedere un cammino più cauto. E nel rendere il suo approccio più favorevole o (per ora) solo meno accomodante per l’economia, oggi la presidente della Bce Christine Lagarde potrebbe persino segnalare l’intenzione di andare oltre: la serie dei tagli dei tassi, se si confermano questi chiari di luna, potrebbe continuare a ogni riunione utile fino a metà del 2025. Siamo entrati nel mese di giugno scorso con un costo ufficiale del denaro al 4%, potremmo uscire dal prossimo giugno al 2%. Se andasse davvero così, avremo avuto la restrizione monetaria più precipitosa della storia dell’area euro seguita dal secondo allentamento più rapido dopo quello seguito al crash di Lehman Brothers a fine 2008.
Significa che la Banca centrale ha sbagliato tutto, perché ha reagito tardi all’ondata d’inflazione post-Covid e poi di nuovo si è accorta tardi dello stallo della crescita europea del 2024? I giudizi ex post sono uno sport per i privilegiati che non devono decidere nella nebbia dell’incertezza per poi formare un compromesso fra 26 visioni diverse al tavolo di Francoforte. Più interessante è che la Bce sia sicuramente rimasta sorpresa dalla debolezza dell’area euro. L’inflazione viaggia già sotto le previsioni di settembre e la ripresa — tante volte annunciata — sembra allontanarsi ogni mese di più. L’area euro è sostanzialmente ferma, priva di una strategia: il taglio dei tassi anticipato e l’improvvisa preoccupazione della Bce per lo stato di salute del paziente sono solo la presa d’atto di una condizione troppo a lungo negata o liquidata come passeggera.
In Germania, da sola poco meno di un terzo dell’area euro, il prodotto lordo nel 2024 promette di registrare una contrazione per il secondo anno di seguito. L’intero modello industriale — con il quale l’Italia è integrata — appare obsoleto e da ripensare. In Francia consumi e investimenti privati, tradizionale motore dell’economia, sono letteralmente piatti; il mercato delle case e gli investimenti immobiliari in contrazione; buona parte della domanda è sostenuta dalla spesa pubblica, che ora dovrà brutalmente contrarsi perché sta arrivando una stretta ai conti da 60 miliardi di euro — ammesso che passi — per arginare un bilancio dello Stato sempre più scricchiolante.
Quanto all’Italia, va meglio della Germania ma non meglio dell’area euro. La recessione industriale ha già più di un anno e mezzo, mentre la gestione del debito pubblico e il rispetto delle nuove regole europee impongono per il 2025 un aumento della pressione fiscale dal 42,3% al 42,8% del prodotto lordo (circa 11 miliardi).
È sempre più chiaro che il nuovo Patto di stabilità inizia a mordere in un momento infelice: la stretta di bilancio in Francia, sommata alla più blanda stretta di bilancio in Italia e a quella ancora minore in Spagna, unite alla mancata spinta in deficit del governo tedesco produrranno — in aggregato — qualcosa di facile da prevedere: stagnazione europea.La Bce non fa che reagire a questa realtà. Servirebbe una strategia per incoraggiare più investimenti in comune, pubblici e privati, mentre i singoli governi risanano i propri conti nazionali. Il rapporto presentato a Bruxelles da Mario Draghi propone di creare fondi per nuove reti elettriche ad al voltaggio in Europa, in vista della transizione verde: i ministri dell’Economia ne stanno parlando quando si vedono a Bruxelles, ma tutto si muove troppo lentamente. E la voglia incontenibile di tanti politici nelle capitali di mantenere una linea diretta con i signori del denaro del proprio Paese blocca sul nascere qualunque idea di mercato europeo dei capitali. Poco importa che, senza quello, ristagnino gli investimenti sulla scala e di intensità tecnologica che servirebbero per competere nel mondo.
Molto più comodo dare la colpa di tutto alla Bce. Specie se poi — per la felicità dei suoi tanti critici — qualche volta apre gli occhi un po’ troppo tardi per davvero.

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