«Le elezioni di una premier e di una segretaria del Pd sono novità che il Paese aspettava da tempo»
Dacia Maraini, scrittrice da sempre in prima linea per i diritti delle donne. È il primo Otto marzo con una donna premier e una donna alla guida del Pd, una presidente alla Consulta e un’altra alla Cassazione.
8 marzo, Meloni: «Ora una donna a capo di una partecipata, presto avremo una Presidente al Quirinale»
Siamo davvero entrati in una nuova fase della storia?
«L’elezione di una donna premier è molto importante dal punto di vista simbolico. Il giudizio politico lo daranno poi i fatti, ma simbolicamente è senza dubbio una grande conquista. Vedere per la prima volta una donna alla presidenza del Consiglio vuol dire che si può fare, che si è aperta una strada. E questo mi fa molto piacere. Meloni ha poi dimostrato grande intelligenza in questi primi mesi, ha capito che una cosa è stare all’opposizione e una cosa è governare e rappresentare un Paese intero, e ha cambiato tono. Adesso vediamo come prosegue».
Indietro non si torna?
«I ritorni indietro purtroppo sono sempre possibili. Ma un’abitudine comunque si è rotta. Alle donne è sempre mancata la rappresentatività, non hanno potuto esprimere le proprie capacità e rivestire incarichi così alti. Adesso questo è possibile».
E l’elezione di Elly Schlein alla guida del Pd?
«Anche quella della Schlein è un’ottima scelta, una novità che si aspettava da tempo. Il Paese ha dimostrato di averlo capito meglio di un partito politico».
Quali passaggi sono stati fondamentali per arrivare a questo punto?
«Le cose sono cambiate per un’evoluzione lunga secoli. Se non avessimo avuto storie antiche di emancipazione non saremmo a questo punto, a cominciare dalle mistiche del Medioevo, le donne del Rinascimento a quelle della Rivoluzione francese e così via».
In questa situazione ci si interroga sul valore dell’8 marzo. Ha ancora senso? Ne potremo fare a meno tra non molto, avendo raggiunto traguardi così importanti?
«Le feste sono compleanni e non c’è niente di male a festeggiare un’occasione, e vale anche per l’8 marzo. Basta che non si riduca alla festa e che le battaglie per l’emancipazione continuino tutto l’anno».
Quali battaglie ci sono ancora da combattere, secondo lei?
«Ritengo che nessuna conquista possa considerarsi definitiva. Mi spaventa il fatto che con la globalizzazione siamo parte del mondo, non siamo più isolati, siamo vicini ad altri Paesi dove le donne sono trattate in maniera repressiva e discriminatoria. Non credo che da noi ci siano diritti messi in discussione ma non bisogna mai darli per scontati. Pensiamo all’aborto, in alcuni Stati degli Usa si sta tornando indietro. Vorrei tanto che le conquiste fossero definitive ma non è mai così, non bisogna tirare i remi in barca».
Oggi Meloni ha detto che le donne sono sempre state sottovalutate, e questo potrebbe essere un vantaggio. Cosa pensa?
«La sottovalutazione è realissima, siamo state sottovalutate per millenni e noi stesse abbiamo assorbito questa idea. Ci sentiamo in colpa, sempre. Le donne che lavorano si sentono in colpa di trascurare la famiglia. Viviamo dentro una cultura e pur essendo emancipate ci portiamo dentro le radici di esclusione e proibizione. Questa sottovalutazione l’abbiamo introiettata, e il nostro essere donna è anche vivere di quelle radici. Non penso che essere esclusi possa essere una buona cosa, anche se strategicamente, e solo in un certo momento, può essere giocato a nostro vantaggio. Ma non è questo di cui abbiamo bisogno».
E di cosa abbiamo bisogno?
«Abbiamo tanto bisogno di fiducia e di stima in noi stesse, due cose importantissime sia nel mondo esterno che in quello interno. Tante donne si tirano ancora indietro perché si sentono inadeguate. Siamo le prime a giudicare noi stesse, a volte troppo duramente».