In classe i nostri ragazzi imparano il gusto delle domande, il valore della bellezza, il confronto col passato. Una sfida che passa dal latino come dalla matematica, dalle scienze e dal greco
I giovani dell’VIII secolo a.C. hanno avuto la fortuna di poter ascoltare i poemi omerici dal vivo. Per i contemporanei di Omero (chiunque egli sia stato) i suoi poemi erano una immensa enciclopedia del sapere del loro tempo raccontata attraverso la bellezza della poesia e il fascino del mito.
Immaginiamo generazioni di giovani ascoltare aedi, come fossero moderni cantautori, mentre narrano le gesta di Achille e di Ulisse. Racconti che parlavano della loro attualità, della storia del loro tempo, di politica e di morale, di conoscenze geografiche e astronomiche, di diritto. Ascoltandoli assorbivano l’esempio di un modello di comportamento a cui ispirarsi per vivere con se stessi, con gli altri e anche per acquisire insegnamenti pratici.
Insomma, L’Iliade e l’Odissea erano e restano un manuale di istruzioni di vita. È così che in una pagina particolarmente bella dell’Odissea (si trova nel V libro) ci appare Ulisse nella veste di falegname. Con una scure e un’ascia abbatte venti alberi alti per costruire una zattera. Ci sembra di vedere l’eroe mentre li leviga e poi li trivella e li adatta tra di loro, li connette con chiodi di legno e completa lo scafo. Costruisce l’albero, il pennone e il timone e una vela. Poi lega bene tiranti, drizze e scotte. Dopo quattro giorni di lavoro lungo e meticoloso la zattera è pronta per affrontare il mare.
Ulisse può andarsene dall’isola di Ogigia dove aveva vissuto con Calypso per sette anni. È pronto per partire verso la sua Itaca. Chi avesse voluto imparare questa tecnica, come altre, avrebbe solo dovuto seguire le istruzioni di Ulisse, il re di Itaca, l’eroe astuto e intelligente per definizione. In quella zattera è custodito il segreto del senso e della direzione di una vita, il modello di una civiltà che insegna ai suoi giovani di quanta forza e di quali strumenti si debbano dotare per affrontare il loro viaggio verso Itaca. Un esempio di didattica a distanza di secoli.
I giorni scorsi il Ministero dell’Istruzione ha reso pubblici i dati sulle iscrizioni alle Scuole Superiori per l’anno scolastico 2022-2023. Dopo due anni di Covid e di Dad, in un periodo di grande incertezza culturale ed economica, si osserva come da parte dei nostri giovani vi sia una fuga dal latino e una attrazione maggiore verso Istituti tecnici e professionali (quasi il 45%).
Vero è che su queste scuole il Pnrr per il 2022 ha in calendario un ambizioso piano di riforma che garantisca un profilo d’uscita all’altezza delle competenze necessarie per affrontare il futuro che li attende. Però resta il dato che non è al latino che guardiamo noi famiglie in cerca di punti fermi. E tanto meno al greco.
Proprio in un momento storico in cui sia in Francia che in Gran Bretagna dichiarano di voler puntare sullo studio dei classici, noi non vogliamo più leggerli. Noi ci stiamo prendendo la responsabilità di fare esattamente il contrario di Ulisse: in un momento di difficoltà smettiamo di insegnare a costruire zattere. Il compito della scuola, di ogni ordine e grado, è di insegnare che il presente non basta, la velocità e la tecnologia non bastano. A scuola i nostri ragazzi passano molte ore della loro vita per imparare (non solo per studiare) il gusto delle domande, il valore della bellezza (che è di tutti), il confronto tra il passato e il presente. Una sfida questa che passa dal latino come dalla matematica, dalla fisica, dalla meccatronica, dall’astronomia e dal greco. La bellezza e la cultura sono i migliori antidoti alle diseguaglianze sociali e alla povertà educativa. In-segnano perché lasciano un segno.
In queste settimane sono molti gli studenti scesi in diverse piazze italiane per gridare la loro rabbia. Il bersaglio è la modalità dell’imminente esame di Stato. È corretto tornare il prima possibile alla normalità di una scuola in presenza e, soprattutto, che i ragazzi vadano valorizzati facendo loro affrontare le famigerate prove scritte. Toglierle è semplificare e la strada della semplificazione, a lungo termine, non porta a buoni frutti. È altrettanto vero però che la normalità non può essere travestita da esame di maturità, occorre pianificarla, non solo sbandierala nelle emergenze. Ma il motivo profondo del loro disagio è che troppe ragazze e ragazzi non si sentono adeguatamente sognati: nel nostro Paese si dichiara solo a parole di averli come priorità. La priorità di continuare a insegnare loro a costruire una solida zattera che, per inciso, Ulisse aveva messo in mare quando Calypso, pur di averlo per sempre, gli aveva promesso l’immortalità. Ma quello che l’eroe, come tutti noi, desiderava non era essere immortale, ma essere e diventare la persona che era con una meta da raggiungere e gli strumenti per farlo.