19 Settembre 2024

ESTERI

Fonte: Corriere della Sera

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di Aldo Cazzullo

La leader è laica e ribelle, la nipote cattolica e anti-gay. Alle regionali, comunque vadano i ballottaggi, hanno fatto il pieno di voti, ma l’Eliseo è lontano

«Siamo noi i veri repubblicani. Siamo noi i difensori della nazione e dei suoi valori: libertà uguaglianza fraternità laicità». Ha fatto un discorso quasi gollista, Marine Le Pen, dopo aver ottenuto un sontuoso 42% al primo turno delle elezioni regionali francesi, che va oltre le previsioni dei sondaggi. Ha persino parlato di «grandeur», come faceva il Generale. Un capovolgimento totale, per un partito che ha sempre visto nei gollisti il proprio nemico naturale. Cinque minuti prima, l’ultimo erede di quella famiglia politica, Nicolas Sarkozy, rifiutava qualsiasi accordo con la sinistra contro il Front National: Hollande e le signore Le Pen per lui pari sono. Comincia così un’era del tutto nuova della storia francese ed europea.

Nel segno di Jeanne d’Arc

Le vincitrici di stanotte hanno lo stesso ambizioso modello – Giovanna d’Arco – e lo stesso nome: Marion (anche se la zia si fa chiamare Marine). Eppure non potrebbero essere più diverse. Le due signore Le Pen, che hanno fatto del Front National il primo partito di Francia e tra una settimana diventeranno presidenti delle due Regioni agli antipodi, il Nord atlantico di Lilla e Calais e il Sud mediterraneo di Marsiglia e Nizza, hanno storie e idee molto distanti. Questa ambiguità contribuisce alla crescita straordinaria dell’estrema destra. Ma costituisce anche il limite che le renderà difficile, se non impossibile, la conquista dell’Eliseo e del Paese.

Su fronti opposti

Marine è nata nel fatale 1968 ed è la terza figlia di Jean-Marie. Marion Maréchal-Le Pen, 26 anni giovedì prossimo, è figlia della secondogenita del fondatore, Yann. Il Front non è un partito. E’ un clan. Una famigliona dove ci si detesta. Il patriarca del resto l’ha teorizzato: «Il potere e la grandezza nascono dalla lotta. Gli europei si sono combattuti per decine di secoli, e hanno costruito una civiltà che ha dominato il mondo intero. Ora hanno fatto la pace, sono divenuti imbelli, e non contano più niente». I Le Pen sono per la guerra. Purtroppo per lui, Jean-Marie l’ha persa, ed è stato espulso. Comandano le donne. Marion è cattolica. Marine è laica, ha divorziato due volte (ora sta con l’ex segretario del partito, Louis Aliot), difende l’aborto. Marion è vandeana. Marine è rivoluzionaria. Marion ha manifestato contro i matrimoni omosessuali. Marine ha portato al vertice del partito omosessuali dichiarati. Marion è conservatrice, ai limiti della reazione. Marine è movimentista, ai limiti della confusione. Non a caso Marion ha superato il 40% nella Regione Paca, Provenza-Alpi-Costa azzurra, culla dell’immigrazione maghrebina, da anni feudo della destra per quanto divisa; mentre Marine viaggia su percentuali ancora più alte nel Nord-Pas de Calais (cui ora è stata aggregata la Piccardia), terra un tempo rossa di miniere e di industrie e ora desertificata e disperata. Marine Le Pen rifiuta di definirsi un’estremista. Per lei la divisione non passa più tra la destra e la sinistra, ma tra il sopra e il sotto della società, tra le élites e il popolo, tra gli enarchi fautori del libero mercato, dell’Europa unita e della società multietnica e la Francia profonda, “Paese di razza bianca”, sorvolata e spaventata dalla mondializzazione, dagli emigrati, ora dal terrorismo. Non a caso il Front è quasi al 50% tra gli operai e nelle banlieues popolari; mentre nel centro di Parigi non arriva al 20.

L’errore storico sul fascismo

Accusare Marine e Marion di fascismo, come da sempre tende a fare la sinistra francese, non è solo un errore tattico; è un errore storico. Il Front National non è figlio della Francia filonazista e clericale di Vichy. Jean Marie Le Pen tentava – a 16 anni – di arruolarsi nelle file della Resistenza quando Mitterrand riceveva dalle mani del maresciallo Pétain la francisque, massima onorificenza del regime. Il Front National è figlio dell’Algeria francese e dell’Oas, l’Organization de l’Armée Secrète che tentò di assassinare De Gaulle. E’ figlio delle sconfitte in Indocina (dove Jean-Marie combatté tra i paracadutisti), del crollo dell’impero coloniale, della frustrazione nazionalista; e i suoi nemici mortali, almeno fino ad ora, non sono mai stati i socialisti ma i gollisti in tutte le loro declinazioni. Questo rende ancora più importanti le parole pronunciate stanotte da Marine. Che però ha un problema: il crollo della sinistra. La figlia di Le Pen infatti spera di trovare al ballottaggio delle presidenziali 2017 Hollande, contro cui avrebbe qualche chance, anziché Sarkozy o peggio ancora Juppé, il delfino di Chirac, da cui sarebbe agevolmente sconfitta. Dietro il suo successo non c’è soltanto la richiesta di una stretta sull’immigrazione e di una lotta senza quartiere contro i terroristi, per i quali Marine invoca il ritorno della ghigliottina. C’è l’angoscia di una nazione abituata all’egemonia, che ora sente di non contare molto più di nulla. E c’è la frustrazione di scoprirsi impotente, dopo i discorsi di Hollande che Marion ha definiti «tonitruanti»: «Il presidente parla di guerra e non ha la forza di farla davvero».

La fine dell’Europa?

A dispetto della sua trasversalità, Marine rimane un personaggio anti-sistema. Se dopo Lilla conquistasse anche Parigi, sarebbe la fine dell’Europa. Il suo programma le impone di strappare non solo il trattato di Schengen, che un po’ tutti i francesi considerano superato, ma anche il trattato di Maastricht, che nel ’92 fu approvato da una maggioranza striminzita. Marine vuole restituire ai compatrioti 200 euro al mese di stipendio e soprattutto la sovranità. L’indipendenza da Berlino e da Bruxelles. Una gigantesca retromarcia. Il ritiro della Francia dalla storia.

L’eredità del padre

Marine non è una persona sgradevole. Come non lo è il padre: odiose sono le sue idee, a cominciare dall’antisemitismo rinnegato dalla figlia; ma in un Paese di politici sussiegosi, in cui il presidente socialista chiama i poveri «gli sdentati», i Le Pen sono gente alla mano. Il capo famiglia, il nonno di Marine, era un pescatore che nel 1942 affondò su una mina al largo della natia Bretagna. Lei fuma, beve, ha un tratto un po’ virile, pacche sulle spalle, cori a squarciagola. Ha la grinta del padre e l’imprevedibilità della madre, Pierrette, che dopo la separazione per vendetta posò nuda su Playboy. (Anche Marion ha avuto le sue vicissitudini: cresciuta da Samuel Maréchal, imprenditore e dirigente del Front, è stata riconosciuta solo dopo anni dal padre biologico, Raul Rauque, giornalista e diplomatico). Ma tra Marine e l’Eliseo ci sono due ostacoli. Ieri ha votato a malapena la metà dei francesi; per la scelta del presidente la partecipazione è molto più alta, e questo annacqua le militanze e le radicalità. E mentre al secondo turno delle Regionali possono partecipare tre e più candidati, e quindi il 40% basta per vincere, al ballottaggio per il capo dello Stato si arriva in due. Pur nel momento del trionfo di Marine, la maggioranza dei francesi stenta a credere che possa diventare presidente. Anche se da quando il terrore le ha dichiarato guerra la Francia cammina su un sentiero inesplorato. E per la fine dell’Europa non tifano solo i nazionalisti francesi.

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