Domenica 20 ottobre si vota, presidenziali e referendum per l’adesione all’Unione europea. Una elezione che deciderà la sorte di una terra che per lungo tempo si è sentita divisa a metà tra l’eredità sovietica e una affinità culturale romena, quindi europea
In Italia siamo ancora incerti sul nome. Viene chiamata Moldavia, anche se il nome esatto, in lingua romena, sarebbe Repubblica di Moldova, così come venne deciso nel 1991, quando si affrancò dall’Urss morente per diventare uno Stato indipendente. Così piccola, e così importante. Domenica 20 ottobre si vota, presidenziali e referendum per l’adesione all’Unione europea. Una elezione che deciderà la sorte di una terra che per lungo tempo si è sentita divisa a metà tra l’eredità sovietica e una affinità culturale romena, quindi europea. A rompere un sostanziale equilibrio tra le due identità è stato il cigno nero dell’invasione russa dell’Ucraina, che ha accelerato un processo in corso fin dalla fine del comunismo, spingendo Chisinau a rompere ogni indugio. Meglio da questa parte, ripete l’attuale presidente, l’europeista Maia Sandu, favorita per la rielezione e tentata quindi da una consultazione popolare che segnerebbe una svolta definitiva. Ma che presenta dei rischi.
Nella società moldava sopravvive un radicamento dell’identità russa, agevolato per altro dalle pressioni esterne esercitate da Mosca su uno stato come la vecchia Bessarabia, poco esteso ma crocevia di destini, tassello essenziale per la politica russa di egemonia sul Mar Nero. L’elenco delle ingerenze comincia inevitabilmente con la creazione della Transnistria, lo Stato che non esiste ma c’è, filorusso e sovvenzionato da Mosca, che al suo interno conserva uno dei suoi più grandi depositi bellici. E potrebbe finire con le recenti denunce del governo di Chisinau sui tutt’altro che misteriosi finanziamenti giunti ai media che fanno propaganda contro il sì al referendum di domenica. Si parla molto di quanto siano decisivi Pennsylvania o Arizona per tutti noi. Ma il futuro dell’Europa passa per la Moldova. E poi per la Georgia, che vota la settimana seguente. E subito dopo per Bulgaria e Romania, due Paesi membri della Nato ma ancora sottoposti a notevoli «tentazioni» filorusse. Anche le elezioni d’autunno a Est ci faranno capire cosa siamo, e quale sarà il nostro destino.