21 Novembre 2024

Per una serie di materiali green siamo troppo dipendenti dall’estero, ma per sviluppare l’autoproduzione – come vorrebbe la Commissione Ue – dovremo superare ostacoli enormi: dalla sindrome Nimby al caro energia

Litio, cobalto, silicio. Ma anche titanio o magnesio. La Commissione europea prende in mano la situazione per prevenire carenze o eccessivi rincari dei materiali definiti “critici”: quasi tutti metalli, che ci sono indispensabili per la transizione energetica o in settori strategici come la difesa e che sono a rischio, perché i consumi sono destinati a crescere in fretta – in qualche caso addirittura a ritmi esponenziali – e perché per rifornirci dipendiamo in modo eccessivo se non addirittura totale da un numero ristretto fornitori.
Tra questi molto spesso c’è la Cina, con situazioni estreme come nel mercato delle terre rare, in cui tuttora Pechino controlla circa il 60% della produzione mineraria e oltre l’80% della raffinazione globale. Attenuare un rischio del genere non sarà facile. E la linea scelta da Bruxelles promette di far discutere.

Caccia ai metalli green
Stando alle anticipazioni lo sviluppo di nuove miniere e impianti metallurgici in territorio europeo è uno dei cardini del Critical Raw Material Act (Crma), parte di un più ampio pacchetto di proposte che l’esecutivo Ue presenterà il 14 marzo. I dettagli possono cambiare fino all’ultimo momento, ma la bozza circolata in questi giorni indica obiettivi tanto ambiziosi da sembrare impossibili da raggiungere.
Entro il 2030 l’Unione europea dovrebbe riuscire ad estrarre dal proprio sottosuolo almeno il 10% dei materiali critici consumati e rendersi autonoma per almeno il 40% nella raffinazione o altre lavorazioni intermedie. Una sfida davvero titanica considerata la crescente opposizione con cui si scontra (non solo in Italia) qualsiasi progetto con un impatto sul territorio. E le miniere – anche quelle più sicure e sostenibili, come ambisce ad averle la Ue – un impatto sul territorio e sull’ambiente inevitabilmente ce l’hanno. Di solito anche piuttosto aggressivo.

Progetti minerari nel mirino
La sindrome Nimby (Not in my backyard, ovvero “non nel cortile di casa mia”) non colpisce solo quando si tratta di realizzare gasdotti o treni ad alta velocità. E tra i progetti minerari per la transizione verde ci sono già state vittime eccellenti: l’ultima a gennaio, quando il governo serbo dopo infinite azioni di protesta ha revocato le licenze per lo sviluppo di un maxi deposito di litio scoperto nel 2004 nella valle del fiume Jadar. L’investimento, da 2,4 miliardi di dollari, era in mano al gigante australiano Rio Tinto.

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