29 Gennaio 2025

Dalle nostre strade fino ad Almasri. Tutelare i cittadini e l’interesse nazionale dovrebbe essere un valore bipartisan

Cos’è la sicurezza? È un fattore che muta i destini elettorali, nella nostra Europa come nell’America di Trump. Perciò può diventare oggetto di strumentalizzazioni o di rimozioni. Sarebbe invece soprattutto una percezione da rispettare. Per anni in Italia sono diminuiti i reati, eppure non è mai scemata una sensazione di pericolo diffusa soprattutto tra gli strati più deboli della popolazione. Il motivo è semplice: le statistiche incoraggianti non bastano a rasserenare una pensionata costretta ad attraversare di sera una piazza di spacciatori.
La sicurezza è anche una linea di faglia nell’eterna querelle fra ultimi e penultimi. Di recente uno dei massimi dirigenti del partito di maggioranza relativa, difendendo il disegno di legge in discussione in Parlamento, spiegava che l’ultimo non è chi va a occupare una casa, ma l’anziano che si trova la casa occupata; non il «ragazzotto» che blocca la strada per difendere l’ambiente ma il lavoratore che si sveglia all’alba e non vuole la strada bloccata; non la nomade che «fa finta di essere sempre incinta per non andare in galera» ma la sua vittima borseggiata sulla metro.
Tutto giusto ma… a metà, perché la sicurezza non è una bandierina e dunque mal si presta a essere riassunta per slogan. Sicché la nomade non «fa finta»: è sempre incinta dall’adolescenza perché schiava di chi così la manda a rubare a man salva e quindi anzitutto per lei va spezzata quella catena, magari con provvedimenti persino più impopolari del Ddl Sicurezza; lo scontro per la casa va svitato con una vera politica abitativa per la quale molto si parla e poco si fa (l’ultima seria risale ai tempi di Fanfani); il diritto a manifestare pacificamente (ripetiamo: pacificamente) va contemperato con gli altri diritti ma è un pilastro della nostra democrazia. Poco senso hanno le fughe in avanti come quella di uno scudo penale per gli agenti in ordine pubblico: comprensibile nell’intenzione di evitare ai servitori dello Stato lo stigma di un’iscrizione tra gli indagati che comporti la sospensione dal servizio e dallo stipendio ma impraticabile perché in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione che vuole tutti i cittadini uguali davanti alla legge. Ancora una volta, si può intervenire senza slogan e bandierine: sugli effetti amministrativi (preservando stipendio e funzioni) e sul presupposto culturale (ricordando che un indagato è ben diverso da un colpevole).
La sicurezza dovrebbe essere infine un valore bipartisan. E in questo senso accomunarci tutti nella difesa del suo livello più alto: la sicurezza nazionale, materia delicata e spesso sgradevole. La liberazione lampo del «generale» libico Almasri, gravato da accuse pesantissime in un ordine di cattura della Corte penale internazionale e rispedito in patria su un nostro aereo dei servizi, è circondata da un alone di errori e omissioni su cui sarà interessante ascoltare il ministro Piantedosi in Parlamento.Ma soprattutto è avvolta da una spessa cortina di ipocrisia. Intendiamoci. In un mondo ideale l’Onu, che da anni denuncia con le proprie agenzie le condizioni dei lager libici su cui comanda Almasri, dovrebbe mandare i caschi blu a liberarne i prigionieri, migliaia di uomini e donne sotto tortura in un meccanismo di detenzione-estorsione che alimenta i clan fino ai più alti livelli governativi. In un mondo ideale quelle vittime verrebbero portate in Italia per essere assistite. E in Europa si farebbe a gara nel redistribuirle fra gli Stati membri, non avendo magari scritto il trattato di Dublino sulla pelle dell’Italia e degli altri Paesi rivieraschi.
Questo però non è un mondo ideale. Noi abbiamo con la Libia un Memorandum che risale al 2017. Tale accordo fu siglato dal ministro Pd Minniti quando si andava verso la proiezione-choc di 250 mila sbarchi in un anno: il Memorandum, con cui facevamo patti con le tribù locali e la guardia costiera tripolina, impedì che l’Italia subisse un devastante tsunami di migrazioni e in un anno gli sbarchi calarono del 77%. Era discutibile sul piano etico? Lo era. Servì a evitare che esplodesse da noi un conflitto sociale? Certamente. Da allora il Memorandum non è mai stato contraddetto e, anzi, è stato rinnovato nel 2020 e nel 2023, quindi sotto governi di diverso segno. Il torturatore di Mitiga è probabilmente depositario di scomodi dettagli su quegli accordi oltre che controllore di un rubinetto umano non a caso riattivatosi nelle 48 ore della sua detenzione con mille sbarchi in un colpo solo. Tassello di un mosaico nel quale si compongono, come ricorda Giovanni Tizian sul Domani, anche i nostri interessi energetici e militari. È insomma un orrendo gadget di questo pacchetto.
Destra e sinistra, che per ragioni opposte ma convergenti sorvolano sul punto impancandosi in dispute morali o giuridiche, trattano gli italiani come fanciulli. La questione è tutta politica. E dire che sia un affare di sicurezza nazionale porta assai vicino alla verità. Che la sicurezza nazionale collida con il diritto umanitario, e talvolta con l’immagine stessa di una nazione, è un brutale dato di fatto prossimo a quegli arcana imperii su cui si regge ogni statualità. Esattamente ciò che ci ha impedito di rompere i rapporti con l’Egitto dopo l’infame destino riservato al nostro Regeni e il successivo, irridente atteggiamento delle istituzioni del Cairo. In un mondo ideale manderemmo i nostri servizi a prelevare almeno il capo degli aguzzini di Giulio per processarlo qui, come fece Israele con Eichmann. Nel mondo reale Al Sisi ci lasciò capire a quel tempo che poteva spedirci sulle coste un milione di migranti e chiuse la questione. La materia è indigesta. Ma i nobili autoinganni servono solo a spaccare il Paese magari racimolando qualche voto: non certo a renderlo più sicuro.

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