22 Dicembre 2024

L’area dem non riesce a coltivare il campo più moderato. E spara colpi contro chi cerca di accamparsi in quello spazio. Ma si sta parlando di un bacino che vale quasi il 10 per cento che è a disposizione del centrosinistra ma viene rosicchiato dal centrodestra

Esiste solo la destra che a questo punto dobbiamo unificare in un’internazionale. Il Centro lo prendano altri. Esso «è complice e funzionale al socialismo». Non ce ne facciamo niente del Centro, anzi il solo evocarlo fa danno, ha detto il presidente argentino Javier Milei parlando dal palco di Atreju, con parole che hanno provocato una standing ovation del pubblico. Come mai quegli applausi carichi di entusiasmo? Perché la sola parola «Centro», secondo Milei, evoca le fumisterie dei «politici». Altro bersaglio dello stesso Presidente argentino, appunto «i politici»: «ho sempre disprezzato i politici»; «delle loro opinioni non ce ne importa un fico secco»; «ascoltarli significa voltare le spalle ai cittadini»; «a differenza dell’economia, la politica è un gioco a somma zero».
Curioso discorso al cospetto di una platea composta in gran parte da persone che non hanno conosciuto altro mestiere del dedicarsi, più o meno disinteressatamente, alla cosa pubblica. Ma ai politici di destra negli ultimi due secoli è spesso piaciuto denigrare in pubblico quella che i loro avversari definiscono invece la «nobile arte».
La verità è che, considerazioni sui politici a parte, la destra, quasi dappertutto, il centro se l’è già preso. Anche in Italia, per merito dei postberlusconiani.
E le baruffe quotidiane tra Matteo Salvini e Antonio Tajani, esaltate dagli avversari come prova definitiva di una supposta instabilità della coalizione di governo, servono al primo per presidiare la destra più radicale, al secondo per allargare la propria area di influenza tra i moderati. Moderati ai quali si rivolge sempre più spesso anche il partito che fa capo al presidente del Consiglio.
Quel che resta del Centro di cui parla Milei sarebbe nei fatti a disposizione della sinistra. Che ne avrebbe bisogno assai più di quel che sostengono i «politici» progressisti. Ma la sinistra quel campo non riesce a coltivarlo, a trasformarlo in terreno di insediamento, avendolo infestato di cespugli di ortiche. Da trent’anni la sinistra si dedica a sparare con colpi ben assestati contro chiunque provi ad accamparsi in quello spazio vitale. Irridendolo, denigrandolo, accusandolo di collusione con il nemico. Nel caso siano più d’uno, facendo il possibile per indurli a scannarsi l’un l’altro.
Intendiamoci, i leader del Centro sono da sempre, per loro stessa natura, inclini al bisticcio. Non foss’altro per il fatto che la loro statura politica in genere è di gran lunga superiore alle forze che, con il voto riescono a raccogliere dietro di sé. E molti di loro non riescono a spiegarsi perché non vengano chiamati ad incarichi di grande prestigio senza passare per le urne. In genere tra loro regna il malanimo e l’invidia. Sicché, se a un centrista capita di ottenere per cooptazione una carica importante, gli altri si uniranno (cosa alquanto eccezionale) per una cospirazione che durerà fino al momento in cui non vedranno soccombere il malcapitato. Salvo poi tornare a disunirsi e dedicarsi alla pratica — che li vede espertissimi — di provocar scissioni nei loro nuclei già ristretti.
Lo spettacolo a cui siamo stati costretti ad assistere al momento della parziale scesa in campo di Ernesto Maria Ruffini, ha raggiunto vette inaudite di scandalosa riproposizione del ben noto copione. Invece di compiacersi per l’ingresso tra le loro file di una personalità dal blasone illustre con alle spalle un’esperienza di tutto rispetto, i centristi nostrani, tranne rare eccezioni, hanno lasciato che la destra sbranasse il povero Ruffini senza nascondere un generale compiacimento. Con un evidente effetto dissuasivo per chi intendesse dedicarsi, in futuro, ad analoga impresa.
Riassumendo: c’è un’area stimata elettoralmente tra l’8 e il 10 per cento che è a disposizione del centrosinistra ma viene rosicchiata a piccole dosi da Forza Italia, Noi Moderati e financo da Fratelli d’Italia. Logica vorrebbe che il Pd, gli ex grillini e persino le formazioni di estrema sinistra incoraggiassero la formazione di un gruppo unitario che provasse a inglobare quell’area. Per poi eventualmente coalizzarsi con esso. Si badi bene: quel gruppo, come s’è detto, dovrebbe avere carattere unitario, non composto da cani ringhiosi addestrati ad azzannarsi l’un l’altro alla giugulare. E riconoscersi in un leader che non abbia altra ambizione di quella di tenere unito il drappello fino alle prossime elezioni politiche. Poi si vedrà. Non c’è bisogno di grandi federatori che nutrano il progetto di guidare l’intero Paese.
Altrimenti, se non si riesce ad avere neanche quel piccolo federatore, si capisce bene il senso più profondo del discorso di Milei: quel che resta del Centro ce lo prenderemo noi a pezzettini, senza proclami di cui non c’è stato bisogno né in Argentina, né in Italia, né degli Strati Uniti. E probabilmente neanche negli Stati europei in cui si voterà il prossimo anno. Il resto lasciamolo ai nostri nemici che disgusteranno i loro elettori parlandone da «politici», lo frazioneranno in mille brandelli per contendersi i quali verseranno litri e litri di sangue. Dopodiché non è neanche escluso che, in tutto o in parte, quei brandelli finiranno alla fine nelle nostre fauci. Tutt’altro che stupido il discorso di Milei.

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