19 Settembre 2024

Dobbiamo partecipare attivamente al dialogo che porterà alle nuove regole sulla politica fiscale. La flessibilità proposta da Bruxelles non sarà un pasto gratis

Inutile farsi illusioni: i vincoli europei su debito e deficit, sospesi durante il Covid, torneranno presto a farsi sentire. La Commissione ha formulato una proposta di riforma del patto di Stabilità lo scorso aprile, in cui si prevede maggiore flessibilità rispetto al passato. Considerando le posizioni dei vari Paesi, è difficile che l’esito del negoziato in corso si discosti molto da quella proposta. Il rischio è semmai che il governo tedesco insista per mantenere qualche «numeretto», ossia rigidi parametri quantitativi validi per tutti. Invece di insistere su clausole automatiche per scorporare dal deficit alcune voci di spesa, per l’Italia è più conveniente ora negoziare sui criteri di flessibilità. Nella proposta della Commissione, i Paesi con alto debito potrebbero ottenere tempi più lunghi per i percorsi di aggiustamento macro-economico. A patto però che i loro governi assumano impegni precisi: realizzare riforme e investimenti volti a stimolare la crescita, rendere il debito più sostenibile e convergere verso le priorità e gli standard dell’agenda europea.
Il nuovo patto di Stabilità dovrebbe tener conto non solo della dimensione economica ma anche di quella «eco-sociale»: ad esempio preparare una transizione verde «equa», rafforzare inclusione e protezione delle persone più vulnerabili, espandere istruzione e formazione. In fondo, è la stessa logica del programma Next Generation Eu. M a quali misure, esattamente, supererebbero i requisiti di accesso alla flessibilità? È proprio su questi aspetti che si sta ora discutendo. Siccome il diavolo si nasconde nei dettagli, è molto importante che il nostro Paese contribuisca in modo proattivo a tale dibattito.
La Presidenza spagnola della Ue (in carica fino a dicembre) e quella belga che verrà subito dopo hanno appena avviato un’iniziativa per definire una cornice operativa su come, esattamente, selezionare le proposte meritevoli in campo sociale. I due governi ci tengono a dimostrare che alcuni tipi di politiche sociali sono davvero capaci di generare ritorni misurabili in termini di crescita, sostenibilità e inclusione. All’iniziativa hanno aderito venti Stati membri (fra cui la Germania, la Francia e, per fortuna, l’Italia) oltre a Commissione e Parlamento europeo. Ai partecipanti si chiede di contribuire con dati e analisi, esempi concreti, suggerimenti sui metodi di monitoraggio e valutazione e, non ultimo, sul sistema complessivo di governance macro-sociale. Questa iniziativa fa seguito a un’altra importante misura messa in campo — sempre su proposta belga-spagnola — nello scorso giugno, l’istituzione di un Meccanismo per la convergenza sociale (Social Convergence Framework), che sarà incorporato all’interno del Semestre europeo a partire da ottobre.
La discussione sui criteri operativi — iniziata formalmente il 5 settembre — ha comprensibilmente un carattere tecnico. L’Unione europea è sempre stata fedele alla massima di Luigi Einaudi «conoscere per deliberare». Salvo qualche eccezione, i governi italiani hanno invece prestato poca attenzione ai tavoli dove si formano le basi conoscitive delle politiche Ue. Contando sul fatto che, alla fine, siano le intese dirette e i compromessi fra leader a dettare i contenuti delle decisioni. A volte succede così. Nel caso in questione, le strategie di «alta politica» (o di politica senza tecnica) rischiano però di fruttare ben poco.
Se ci sta a cuore, come dovrebbe, la partita della flessibilità, il momento giusto per giocare in favore degli interessi italiani è ora. Nessuno ascolterà la nostra voce se ci illudiamo di negoziare sulla riforma del Patto nei tempi supplementari, magari agitando la minaccia di non ratificare il Mes.
Per quanto importante, l’adozione del Meccanismo per la convergenza sociale e della sua cornice operativa sarebbero soltanto un mezzo successo. Resterebbe infatti la sfida di delineare un insieme di proposte meritevoli e convincenti per ottenere flessibilità. Dovrà trattarsi, ovviamente, di misure aggiuntive rispetto a quelle già previste dal Pnrr.
Il dibattito appena iniziato sulla manovra finanziaria sembra non avere alcuna contezza di queste nuove sfide. Come ha scritto Federico Fubini sul Corriere del 5 settembre, troppi politici vedono ancora il bilancio pubblico come strumento distributivo per attrarre consensi di breve periodo. Questo vale anche per tematiche (come natalità, famiglia, occupazione femminile) che pure si presterebbero a diventare il perno di un progetto di ampio respiro.
L’approccio e lo stile di un governo di legislatura dovrebbero essere ben diversi. La riduzione del nostro enorme debito pubblico resta una priorità, si dovrebbero consentire solo deficit «buoni». La nuova flessibilità di Bruxelles non sarà un pasto gratis, ma dovrà essere guadagnata nello stesso modo con cui oggi si guadagna ciascuna rata del Pnrr: con realizzazioni concrete e puntuali per raggiungere grandi obiettivi strategici, capaci di arginare il nostro galoppante declino economico, sociale e demografico.

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