22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Margherita De Bac

Chi sono le ricercatrici dello Spallanzani che hanno isolato il Coronavirus: tra loro una precaria


La donna che lavora con i virus non ama ritrovarsi sotto i riflettori anche se ammette di essere riuscita a fare con la sua squadra «quello di cui pochi sono capaci». Isolarne uno non è roba da poco. Soprattutto se non è conosciuto, lo hanno fotografato in pochi, ed ha sul collo il fiato di tutti i migliori gruppi di ricercatori del mondo.
Maria Rosaria Capobianchi, 67 anni, di Procida, è la coordinatrice del team quasi interamente rosa che ha stanato l’agente infettivo responsabile di migliaia di contagi e circa 300 morti. «Quando lo abbiamo visto al microscopio e abbiamo capito che era proprio lui, in reparto ci sono stati salti di gioia», ricorda l’annuncio in notturna delle colleghe Francesca Colavita e Concetta Castilletti, presenti nel laboratorio di massima sicurezza dello Spallanzani, il BL3, nel momento in cui il microrganismo importato dalla Cina si è rivelato. Il 2019-nCov, preso dal liquido del paziente cinese tuttora ricoverato in ospedale, ha cominciato a replicarsi velocemente e si è dimostrato capace di danneggiare le cellule aggredite, alterandone la forma. La prova schiacciante che fosse proprio lui il grande ricercato.
Maria Rosaria dirige da 20 anni il laboratorio di virologia dell’istituto nazionale per le malattie infettive. Altri venti ne ha passati china sui banconi dell’università la Sapienza dove ha imparato a diventare una virologa «artigiana». Laureata in genetica umana, specializzata in virologia, decise di trasferirsi a Roma per realizzare i sogni di ricercatrice e, soprattutto, per seguire nella capitale Felice Cerreto, l’uomo che ha sposato nell’80, con il quale ha due figli.
Dice che è merito suo se è arrivata a questo livello: «Ha tollerato le mie assenze, i continui viaggi, il ritorno a casa in orari improbabili. Ha capito quanto fosse importante per me poter coccolare le mie cellule». Già perché così è. Descritte da questa virologa schiva e poco avvezza a interventi mediatici i virus sono dei «tipetti» da maneggiare con le dovute cautele, rispettando i loro tempi di risposta, quasi vezzeggiandoli con dei trucchetti.
Ha le stesse frasi carezzevoli nei confronti dei suoi perfidi sfidanti Concetta Castilletti, 56 anni, due figli, orgogliosa di essere ragusana («ho concittadini accoglienti, come me»), soprannominata «mani d’oro» per la capacità di sfruculiare i microbi sotto la cappa. Ha alle spalle una famiglia unita che è sua grande alleata: «A casa sono abituati a vedermi impelagata nelle emergenze. Non ricordo una vita diversa da questa. È stato sempre così». Ha l’hobby del basket. Non lo gioca ma con marito e figli si occupa di una società romana con squadra in serie B e C. Lei accompagna i bimbi ai campi estivi. Come responsabile del laboratorio virus emergenti, Concetta ha vissuto l’esperienza della Sars, Ebola, pandemia da H1N1 (la cosiddetta influenza suina), del brasiliano Zika e della chikungunya, il virus trasportato dalla zanzara che due estati fa ha imperversato anche a Roma.
La più giovane è Francesca Colavita, 30 anni, in squadra da quattro, molisana di Campobasso. Durante l’epidemia di Ebola è partita diverse volte per la Liberia e la Sierra Leone, dove il virus della febbre emorragica ha colpito duramente. Non si è tirata indietro quando si è trattato di partecipare a progetti di sicurezza e cooperazione al termine dell’emergenza in quei Paesi. Allo Spallanzani Francesca ha un contratto a tempo determinato in scadenza. Era lei di turno quando il coronavirus si è infine lasciato isolare: «Che emozione, è stato meno difficile del previsto. Ora mi scusi devo lasciarla, mi chiamano per un’urgenza». Quando c’è stato bisogno di raddoppiare i turni dell’h24 normalmente utilizzato per i test su sospette meningiti, malaria e trapianti, hanno chiamato lei. Non se lo è fatto ripetere due volte.

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