Fonte: Corriere della Sera
di Marco Galluzzi
Sulla squadra critiche da Forza Italia e Calenda ma anche da Italia viva. Su richiesta del Pd potrebbe esserci un direttore generale al vertice dei 6 manager di area
Il progetto italiano del Recovery Fund è ancora in fase di formazione, si sa che il governo sta scegliendo una gestione a composizione piramidale con una cabina di regia politica e una struttura tecnica formata da 6 manager: quello che affiora in più rispetto alla riunione di maggioranza che si è tenuta sabato scorso, è che su richiesta in primo luogo del Pd si fa strada l’ipotesi di nominare una sorta di direttore generale della struttura tecnica.
Una figura centrale, con ampi poteri derogatori, che risponda direttamente sia a Palazzo Chigi sia alle strutture tecniche della Commissione europea, e che in qualche modo coordini la fase di attuazione del piano italiano: visto che i macro-progetti italiani sono sei, digitalizzazione, transizione green, istruzione e formazione, inclusione sociale e salute, delle 300 unità che dovrebbero far parte della struttura, la media sarebbe di 50 esperti per ogni settore del piano.
Potrebbe anche essere toccato il ruolo dell’Anac, l’Autorità anticorruzione che fra le altre cose ha la vigilanza sui contratti di appalto pubblici, poteri di valutare le aziende e i loro requisiti, la supervisione sui processi attuativi dei contratti stessi della Pa: poteri che potrebbero intersecarsi o accavallarsi con quelli della struttura tecnica che Palazzo Chigi vuole mettere in piedi. Ed è solo uno dei tanti nodi delicati che ancora devono essere definiti in vista del maxi emendamento alla legge di Bilancio con cui il governo dovrebbe scoprire le carte e definire tutti i dettagli gestionali dei 209 miliardi di euro che l’Europa al nostro Paese è pronta a trasferirci nei prossimi sei anni. E dalla Ue arriva una nota di ottimismo sul cammino del Recovery plan: «Penso che riusciremo a superare il veto di Polonia e Ungheria», ha detto ieri a Mezz’ora in più il commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni.
Giuseppe Conte ha spiegato ai suoi ministri che ancora molti punti vanno approfonditi e analizzati per arrivare ad uno schema definitivo, un assetto che andrà comunque sottoposto alla Commissione, che potrebbe anche bocciarlo, come accaduto con la struttura gestionale dei fondi illustrata dalla Spagna.
I progetti complessivi del Recovery italiano dovrebbero essere di poco inferiori a 100, fra quelli selezionati finora, ma un altro aspetto che andrà chiarito, e in modo molto netto, sarà la relazione fra i ministri competenti per settore e la struttura tecnica di 6 manager che si vuole mettere in piedi: manager ed eventuale direttore generale, quindi una sorta di supermanager, avranno certamente poteri derogatori, ma rispetto a quali soggetti? I ministri, le Regioni, i Comuni?, Anche questi punti andranno chiariti.
Un aspetto questo apertamente criticato da Carlo Calenda: «I ministri hanno dei poteri che sono attribuiti e non possono essere tolti. Quando viene costruita una struttura parallela, piramidale, dove c’è Conte sopra, due ministri sotto, 6 manager e 300 persone sotto, è inevitabile che questa struttura vada in conflitto, perché i ministri devono firmare gli atti che sono decisi da altri», sostiene l’ex ministro e leader di Azione, aggiungendo che «questo modo di affrontare il Recovery plan alla fine lo bloccherà. Se si continuano a costruire sovrastrutture di sovrastrutture, si crea un gran macello».
Un giudizio duro che in qualche modo viene condiviso anche da Ettore Rosato, presidente di Italia viva, dunque da una componente della maggioranza, a dimostrazione del fatto che le tensioni interne non sono affatto state messe da parte: «Non vorrei che fosse un commissariamento dei ministri, in cui mettiamo qualche burocrate a decidere al posto loro, come se il Consiglio dei ministri non fosse in grado di gestire il Recovery».
Una critica che diventa ancora più esplicita nelle parole di Forza Italia: «Una piramide burocratica, al cui vertice siede il presidente Conte affiancato da due ministri, subito sotto 6 manager e 300 tecnici. Una struttura tentacolare destinata a bloccare ogni iniziativa sui 209 miliardi del Recovery plan a causa dei conflitti di competenze. Ma è anche la peggiore soluzione per intavolare quel dialogo con l’opposizione auspicato dal presidente Mattarella», scrive in una nota Daniela Ruffino, deputata di Forza Italia. C’è infine il nodo della natura giuridica della struttura tecnica che Conte ha intenzione di creare, sarebbe esterna al perimetro del governo, una società autonoma o verrebbe inglobata da Palazzo Chigi?