22 Novembre 2024

Bisogna uscire dalla logica emergenziale e per farlo occorre che l’Italia resti ancorata ai partner

L’accordo raggiunto ieri in Lussemburgo è un risultato fondamentale per la gestione dei flussi migratori. Molti altri ostacoli dovranno essere superati, ma il patto stretto tra i ministri dell’Interno dell’Unione europea rappresenta finalmente un cambio di passo. La trattativa lunga e complessa che ha segnato la riunione ha consentito all’Italia di tenere il punto su alcuni aspetti importanti, soprattutto ha anche dimostrato la debolezza di quegli Stati — primi fra tutti Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia riuniti nel gruppo di Visegrád — che rifiutano per principio qualsiasi tipo di accoglienza degli stranieri e alzano muri per impedire loro l’ingresso. L’Italia chiede da anni all’Unione europea di non essere lasciata sola. Sin dal 2013, quando un naufragio davanti all’isola di Lampedusa provocò la morte di 95 persone oltre a 260 dispersi, gli appelli per raggiungere un accordo che coinvolgesse tutti gli Stati membri sono stati continui. Ma da allora poco o nulla è stato ottenuto. Lo ha ben spiegato appena un mese fa il capo dello Stato Sergio Mattarella quando ha sottolineato che «fin qui è stato difficile coinvolgere in maniera efficace i partner comunitari» e poi ha evidenziato come sia «indispensabile giungere a una politica europea organica in materia».
È giusto avere come obiettivo la protezione dei confini esterni dell’Europa e la regolamentazione degli ingressi, ma è illusorio credere di poter fermare i flussi migratori. Aiutare economicamente chi scappa dal proprio Paese per convincerlo a non partire non è sempre possibile. Ci sono Stati africani e asiatici segnati dai conflitti dove la maggior parte dei cittadini non ha alcuna possibilità di vivere un’esistenza dignitosa. Ci sono altri Stati che si trovano in situazioni di emergenza — come è successo all’Afghanistan e all’Ucraina — per i quali è necessario provvedere all’assistenza e all’accoglienza dei profughi. La crisi internazionale determinata dalla guerra tra Russia e Ucraina non consente di prevedere che cosa potrà accadere nei prossimi mesi e addirittura nei prossimi anni.
L’Italia è certamente uno dei Paesi più esposti perché è la porta — o meglio il porto — sul Mediterraneo più facile da raggiungere e anche da superare. Il codice di comportamento per le Ong varato da questo governo sulla falsariga di quello che fu approvato nel 2017 dal governo guidato da Paolo Gentiloni quando al Viminale c’era Marco Minniti, si è rivelato per quello che era: una misura punitiva nei confronti delle organizzazioni che si occupano di soccorrere e salvare i migranti, ma non efficace per fermare gli sbarchi sulle nostre coste. Perché sono pochissime le persone che arrivano a bordo di quelle navi e moltissime quelle che invece si arrangiano e riescono comunque ad approdare. Secondo i dati ufficiali del ministero dell’Interno aggiornati all’8 giugno, sono 53.606 gli stranieri giunti via mare quest’anno a fronte dei 21.243 dello scorso anno. Persone che accettano il rischio di morire imbarcandosi su mezzi di fortuna e affidandosi ai trafficanti pur di tentare la traversata e sperare in futuro migliore.
I numeri dicono che non c’è alcuna invasione, ma confermano che molto bisogna ancora fare proprio perché chi arriva possa essere assistito in maniera adeguata e aiutato a integrarsi. Oppure a trasferirsi altrove se ne ha i requisiti. Bisogna uscire dalla logica emergenziale e per farlo si deve avere la certezza che ci sia un sistema comune a tutta l’Europa in modo da evitare crisi diplomatiche come quella recente tra Italia e Francia. La sintonia tra il presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il cancelliere tedesco Olaf Scholz mostrata nella conferenza stampa di ieri, la pace fatta con Parigi anche grazie all’ottimo rapporto tra il presidente Mattarella ed Emmanuel Macron dimostrano che si può trovare un punto d’intesa pure con altri partner per lavorare insieme e raggiungere l’obiettivo.
Bene ha fatto il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a mettere sul tavolo del negoziato i punti irrinunciabili per il governo. La determinazione a non cedere su alcuni aspetti alla fine ha consentito di ottenere un risultato chiaro e soprattutto ad assegnare al nostro Paese un ruolo chiave nella trattativa. Ma ha soprattutto allineato l’Italia a quella parte dell’Unione che non vede i migranti come una minaccia e invece lavora per trasformare in una risorsa chi ha i requisiti per arrivare e rimanere nel vecchio continente. È la strada giusta, il percorso che bisogna continuare a percorrere fino all’approvazione definitiva del Piano. Soltanto in questo modo si potrà poi pretendere di non essere lasciati soli.

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