19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Franco Venturini

Il pericolo che i governi italiani degli ultimi cinque anni hanno sottovalutato votandosi alla causa dell’Onu condita da inutili e persino avvilenti proclami statunitensi è che la Libia diventi sempre di più il teatro di una guerra per procura tra potentati islamico-petroliferi

Cosa vuole il generale cirenaico Khalifa Haftar, e chi lo aiuta ora che i suoi miliziani mascherati da esercito assediano Tripoli? Soltanto rispondendo a queste domande potremo inquadrare correttamente l’ennesima strana guerra libica, e ricavare le indicazioni politico-militari che potrebbero servirci ad alleviare, sarebbe ora, le pesanti minacce che il caos in Libia fa gravare sugli interessi nazionali italiani. Per cominciare, Haftar vuole davvero espugnare Tripoli? È improbabile, a meno che siano le numerose e non coordinate milizie della capitale a donargliela in cambio di sostanziosi benefici. Ma Tripoli è difesa anche dagli uomini di Misurata, che sanno battersi. E un bagno di sangue non aiuterebbe la causa del generale di Bengasi. Piuttosto, bisogna capire in cosa consiste questa causa. Dal 2016 un interminabile negoziato di conciliazione tra Cirenaica e Tripolitania, tra Khalifa Haftar e Fayez al-Sarraj (un civile il cui governo è riconosciuto dalla comunità internazionale, ma che ha poche baionette sulle quali sedersi) viene condotto dall’Onu con l’appoggio particolarmente convinto dell’Italia. Dopo molti alti e bassi, più bassi che alti, dieci giorni fa il Segretario del Palazzo di vetro Antonio Guterres si è spinto fino ad annunciare il raggiungimento di un accordo tra le due parti libiche sul punto cruciale della sicurezza e della riorganizzazione militare: Haftar guiderà l’esercito nazionale come chiede da tempo, ma sopra di lui sarà una autorità civile ad avere davvero il comando. E la conferenza di Ghadames, a metà aprile, renderà ufficiale il compromesso.

A Bengasi scoppia il finimondo. Il generale che vuole diventare il nuovo Gheddafi agli ordini di un civile, magari proprio al-Sarraj? Bisogna reagire immediatamente. A fine marzo Haftar, che ha già l’appoggio di Egitto e Emirati Uniti oltre a quello di Francia e Russia, compie una visita lampo in Arabia Saudita, che è da tempo la sua vera finanziatrice via il Cairo. Il risultato è che l’operazione Tripoli può scattare, ci sono i mezzi e ci sono le coperture indispensabili. Lo scopo è dire chiaramente all’Onu e a tutta la comunità internazionale che Haftar non ci sta, che se si vuole un accordo le decisioni militari dovranno spettare a lui e non ai civili, e che soltanto a queste condizioni la conferenza di Ghadames potrà aprire i battenti. E ancora: che se l’Onu e gli altri non vorranno dargli ascolto lui saprà usare la forza, e seppellire con le maniere forti un metodo negoziale che ha fatto il suo tempo.

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