Fonte: Corriere della Sera
di Pierluigi Battista
Le scelte che l’hanno portato a smarcarsi da Renzi. C’è un futuro davanti e non solo il presente: con le elezioni il ruolo di Gentiloni, se mancasse una maggioranza univoca, potrebbe rivelarsi decisivo
C’è un momento, un bivio, un appuntamento con il destino in cui due che sembravano inseparabili invece, ineluttabilmente, si separano. Senza far troppo rumore, senza strepiti e urla, ma si separano. Come Paolo Gentiloni, il delegato, che imbocca una via sempre più divergente da quella tracciata da chi l’aveva delegato, Matteo Renzi. Sullo ius soli, in sintonia con il presidente della Repubblica, il premier comunica al segretario del pd che niente, andare avanti non si può, peccato, tanti rimpianti, ma la vita (politica) è fatta così: per durare si deve arretrare. Appunto, per durare. Ma non doveva durare poco?
Una legge elettorale facile facileTanto si sa che Gentiloni, a meno di traumi imprevisti, porterà la barca del governo fino al suo approdo naturale del 2018 e ogni tentativo di Renzi di spostare la data dell’ordalia elettorale si è risolto in un fallimento. Dicevano, nel giglio magico: aspettiamo la sentenza della Corte Costituzionale, facciamo una legge elettorale facile facile e poi via alle urne, tanto Paolo Gentiloni non farà resistenza. Poi: facciamo le primarie, appena vince Renzi facciamo una legge elettorale facile facile e poi si va alle urne, tanto Paolo Gentiloni non farà resistenza. Ma le novità sono due. La prima è che alle urne non si va se non alla scadenza naturale della legislatura, o giù di lì. La seconda è che Gentiloni ha smesso di non fare resistenza. Ora la partita se la vuole giocare per intero pure lui. La separazione si è avviata. La solitudine dei numeri secondi non è più vissuta dall’attuale presidente del Consiglio come una condizione esistenziale e politica permanente e risolutiva, una condanna senza appello.
Sempre un passo indietro, o almeno di lato
Per biografia, anagrafe e storia politica, Gentiloni stava diventando, con l’avvento del renzismo, un ex. Era un uomo di fiducia di Francesco Rutelli. Prima ancora, nel cuore degli anni Ottanta, si era fatto politicamente le ossa al confine tra la sinistra e l’ambientalismo, un piede fuori dal Pci che invece è stata la fucina principale della classe dirigente di sinistra nella Seconda Repubblica. Come candidato renziano alle primarie per il sindaco di Roma, la prova non fu esattamente esaltante, anzi fu un fallimento. Sempre un passo indietro, o almeno un passo di lato, per naturale inclinazione a un profilo di sobrietà non scoppiettante, anche un po’ grigio a dirla tutta, ma senza traccia di ansie di protagonismo venute alla luce. Poi la forzatura della rottamazione che avrebbe potuto collocarlo dalla seconda alla terza fila della nomenclatura Pd. E invece, per un complesso gioco di distribuzione di ruoli, arrivò per Gentiloni la poltrona della Farnesina.
«Ci sono e non ci sono»
Quando Renzi perde rovinosamente il referendum costituzionale del 4 dicembre, la figura di Gentiloni sembra fatta apposta per assecondare il gioco del «ci sono e non ci sono» dello sconfitto che deve far vedere di uscire di scena ma anche che sarebbe rientrato. Gentiloni premier e la squadra di governo pressoché identica, con presenza simbolica della grande perdente Maria Elena Boschi, sono il simbolo della continuità nella discontinuità e nulla poteva far presagire che con il tempo il legame strettissimo tra il delegante Renzi e il delegato Gentiloni si sarebbe allentato. E invece, mese dopo mese, il premier ci ha preso gusto. E ci ha perso gusto anche il suo ministro Padoan che all’Europa, di fronte alle irrequietezze di Renzi sul fiscal compact, dice che una cosa è il segretario del pd, un’altra è il governo. Esattamente la linea Gentiloni sullo ius soli, tutt’altro che malvista, sembrerebbe, attorno al Quirinale. Un grado di separazione, poi due e poi tre, e alla maniera di Gentiloni, cioè in modo felpato, garbato, sussurrato, la discontinuità prende il posti della continuità. C’è un futuro davanti, e non solo il presente. E con le elezioni il ruolo di Gentiloni, se mancasse una maggioranza univoca, potrebbe rivelarsi decisivo. Senza lo ius soli, inviso alla destra. E la distanza, poco a poco, si sta trasformando in un fossato: i numeri due sognano di diventare uno.