Fonte: Corriere della Sera
di Valerio Onida
E’ un’anomalia che tutti i dirigenti apicali siano magistrati ordinari collocati temporaneamente fuori ruolo con l’autorizzazione del Consiglio superiore
Si discute molto, di questi tempi, di organizzazione e di governo della giustizia e della magistratura, fra rivelazioni sulle modalità con cui il Consiglio Superiore sceglie i dirigenti degli uffici giudiziari e polemiche postume sulla scelta da parte del Ministro del Capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, a cui non è stato preposto un noto magistrato di Procura che aspirava al ruolo. Non si pone molta attenzione, invece, ad un fatto che di per sé costituisce una singolare anomalia: nell’organigramma del dicastero guidato dal Ministro della giustizia, cui spettano, per Costituzione, «l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia» (è l’unico Ministro, nel nostro sistema, che ha una sfera di competenza direttamente determinata dalla Costituzione, e quindi poteri propri che può difendere anche nei confronti di ogni altro potere dello Stato), pressoché tutti i dirigenti apicali sono magistrati ordinari collocati temporaneamente fuori ruolo con l’autorizzazione del Consiglio superiore. Lo è il direttore generale «per il coordinamento delle politiche di coesione», lo sono il capo e il vice capo dei quattro Dipartimenti (affari di giustizia; organizzazione giudiziaria del personale e dei servizi; amministrazione penitenziaria; giustizia minorile e di comunità). Lo sono persino i vertici di quasi tutti gli uffici di diretta collaborazione col Ministro, a partire dal Gabinetto del Ministro, per proseguire con l’Ufficio legislativo e l’Ispettorato generale.
Se ci si domanda quale sia la ragione di questa singolarità — membri dell’ordine della magistratura, autonomo e indipendente da ogni altro potere, che dirigono le funzioni amministrative relative ai servizi relativi alla giustizia, spettanti al Ministro e dunque al Governo — la risposta probabilmente è nella storia: da sempre in Italia è così. Da sempre dunque numerosi magistrati ordinari, per periodi più o meno lunghi della loro carriera, non fanno né i giudici né i pubblici ministeri, funzioni per le quali la legge garantisce loro l’indipendenza, ma lavorano nel Ministero, scelti dal Ministro e alle dipendenze del Ministro (o è il Ministro che finisce per dipendere da loro?), occupandosi di tutti i servizi amministrativi della giustizia, e quindi svolgendo compiti che hanno direttamente a che fare con l’efficienza di tali servizi.
Sarebbe anche interessante ricostruire quanto e come tali funzioni amministrative apicali svolte da magistrati influiscano in fatto sulla loro carriera, quando tornano a fare i magistrati e concorrono all’assegnazione di funzioni direttive in organi giudiziari (presidenti di Tribunale e di Corte d’Appello, procuratori della Repubblica e procuratori generali). Certo non sono irrilevanti nel loro curriculum: abbiamo visto, di recente, un magistrato, che era stato capo di Gabinetto del Ministro, nominato subito dopo, si deve supporre con pieno merito, Capo di una importante Procura. E si deve anche riconoscere che ai fini dell’assunzione di uffici direttivi nella magistratura, in cui insieme alla capacità di risolvere le controversie secondo giustizia dovrebbero contare le capacità e le attitudini organizzative e manageriali necessarie per dirigere uffici complessi, una esperienza svolta nel campo dell’amministrazione può essere utile. Tuttavia resta l’anomalia di un corpo amministrativo quasi interamente costituito, ai massimi livelli, da membri dell’ordine giudiziario. L’amministrazione è o dovrebbe essere «servente» della politica, anche della politica giudiziaria, assicurando l’istruttoria tecnica nella formazione delle decisioni politiche e quindi delle leggi (si pensi agli uffici legislativi), e curando i procedimenti amministrativi necessari per la loro attuazione e per organizzare i servizi, nel rispetto dell’indipendenza dei giudici. Nemmeno si può dire che sia questione di competenza tecnico-giuridica: quella necessaria per organizzare e dirigere servizi amministrativi è diversa da quella richiesta per giudicare. E del resto colpisce il fatto che, mentre in altri Ministeri tale competenza tecnico-giuridica è spesso assicurata, ai massimi livelli, da consiglieri di Stato, membri del massimo organo di giustizia amministrativa ma anche storico apparato di alta consulenza del Governo, nel Ministero della Giustizia si trovano solo magistrati ordinari.
La legge chiama il Ministro della giustizia, fra l’altro, a concorrere alla scelta dei magistrati da preporre agli uffici direttivi della magistratura, con il «concerto» che deve essere cercato con l’apposita commissione del Csm, anche se poi la scelta finale spetta al plenum del Consiglio. Ebbene, non è improbabile che una delle ragioni per le quali non sembra che i Ministri riescano a contrastare, esercitando opportunamente il proprio potere di «concerto», le prassi corporative e correntizie emerse nella cronaca di questi mesi, stia proprio nel fatto che la struttura del Ministero è di fatto «occupata» da magistrati, la cui carriera dipende in definitiva dalle determinazioni del Consiglio Superiore.
Ancora: si discute molto, e giustamente, di limitare il fenomeno cosiddetto delle «porte girevoli», cioè del passaggio da funzioni giudiziarie a compiti politici e viceversa, soprattutto impedendo a chi si sia dedicato a funzioni politiche di tornare troppo facilmente a giudicare: ma, sia pure facendo le debite differenze, anche questo assai più frequente scambio fra funzioni giurisdizionali e funzioni amministrative svolte dalle medesime persone può nuocere sia alla indipendenza della magistratura, sia soprattutto alla indipendenza delle scelte politico-amministrative del Governo da eccessivi influssi «corporativi».
E’ da auspicare dunque che, nel momento in cui giustamente si pensa di aprire una stagione di riforme anche nei modi in cui si provvede al governo autonomo della magistratura, si ponga mente anche all’esigenza di eliminare o contenere l’anomalia che si è detta: magari pensando a costruire nel tempo un corpo amministrativo (si pensi, in tutt’altro campo, al ruolo che svolge da sempre nel nostro sistema politico-amministrativo il corpo dei prefetti) formato e dedicato specificamente ai servizi della giustizia.