Nel mondo ci sono circa 6 miliardi di persone che accedono al web, ma poche piattaforme hanno, tramite software e algoritmi il controllo dei dati così raccolti

Esiste una filosofia politica per la condizione digitale? La risposta non è semplice. Anche per la intrinseca contraddittorietà di questa eventuale filosofia politica. In effetti, la digitalizzazione del mondo è partita come fenomeno tecnologico e libertario. Ma poi, abbiamo assistito alla nascita di nuove forme di potere che potremmo chiamare potere computazionale. E, col tempo, questo potere è diventato tendenzialmente centralistico. Il software, più che l’informazione o i dati, è ciò che definisce questa forma di potere e, in ultima analisi, oggi dà forma alla realtà. Il software è un’architettura che separa il controllo e la gestione dall’hardware fisico. Per fare un esempio, più che comperare un’automobile noi siamo destinati nel prossimo futuro a noleggiare una centralina elettronica che dà istruzioni al veicolo. In questo modo, il potere computazionale è diventato uno strumento in grado di influenzare la comunicazione, la cultura, il lavoro e l’economia tramite le piattaforme e gli algoritmi delle compagnie che gestiscono il software. Questo ha portato a nuove forme di controllo sociale e ha trasformato l’ordine costituito e la vita delle persone. Di riflesso, ha sollevato importanti questioni etiche e politiche, che riguardano la libertà e l’autonomia degli individui, come quelle legate alla privacy, la manipolazione e il controllo sociale.

Ovviamente, il potere computazionale centralizzato non è coerente con lo spirito libertario che aveva accompagnato la nascita del web. Il libertarianismo è, infatti, una visione che insiste sull’espansione dell’autonomia individuale e dell’autodeterminazione. Dopo le origini socialiste del libertarianismo, nel ventesimo secolo, negli Stati Uniti, prese forma un libertarianismo di mercato, spesso chiamato anarco-capitalismo. Nomi come quelli di Ayn Rand O’Connor (nata Alisa Zinov’evna Rozenbaum) — scrittrice, filosofa e sceneggiatrice statunitense di origine russa, autrice di La rivolta di Atlante, sostenitrice dell’individualismo e dell’egoismo razionale — e Murray Rothbard — economista e filosofo libertario — sono da questo punto di vista emblematici. La congiunzione tra libertarianismo e cultura digitale si può chiamare tecnolibertarianismo. Le sue radici sono nella cultura hacker cypherpunk di Internet nella Silicon Valley all’inizio degli anni 1990. La filosofia tecno-libertaria predica la riduzione al minimo della regolamentazione governativa, con speciale riguardo al libero uso del World Wide Web. Da questo punto di vista, i tecno-libertari abbracciano gerarchie fluide e meritocratiche, che si ritiene siano meglio servite dai mercati. Il tecno-libertario più noto è stato probabilmente Julian Assange

Ma, come dicevamo, se il web è nato in coerenza con lo spirito libertario, il suo sviluppo non è stato di questo tipo. È, infatti cresciuto il controllo dall’alto delle piattaforme digitali. Nel mondo ci sono circa 6 miliardi di persone che accedono al web, ma ci sono poche piattaforme che hanno, tramite il software e gli algoritmi, il controllo dei dati così raccolti. I più recenti sviluppi dei mercati digitali mostrano in effetti l’emergere di modelli di business che ruotano attorno alla raccolta ed all’utilizzo commerciale di big data da parte delle piattaforme.

A fronte dei benefici derivanti dall’uso dei big data, si manifestano timori legati alla possibilità che lo sfruttamento di tale bagaglio informativo possa avere effetti anticompetitivi e rafforzare posizioni di dominio. In questo modo, lo spirito libertario delle origini rischia di essere sacrificato alla potente capacità di controllo oligarchico presente nel sistema delle grandi piattaforme digitali. Si potrebbe pensare così che sempre più la parte tecno funge — come aveva anticipato un filosofo quale Michel Foucault — da supporto per un insieme di dispositivi di regolamentazione e controllo da parte delle grandi compagnie. Trasformando il tecno-libertarianismo in una sorta di tecno-fascismo.

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