22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Aldo Cazzullo

Anche in Spagna i populisti sono entrati in partita. La campagna elettorale sarà infuocata


Ci sono momenti, nella storia, in cui tutto lascia credere che il diavolo abbia gettato su un Paese uno sguardo ovviamente maligno. E non solo metaforicamente. A Segovia, splendida città a un’ora da Madrid, celebre per l’ardito acquedotto romano, è stata eretta una statua a Lucifero. Il monumento evoca un’antica leggenda: una portatrice d’acqua, sfinita dalla fatica, fece un patto con il demonio: l’anima in cambio di un acquedotto costruito nottetempo. Pentita, la ragazza invocò fino all’alba il perdono divino, e fu esaudita: nell’istante in cui veniva posata l’ultima pietra, si levò il sole, cantò il gallo e il diavolo fu beffato. Ora però le associazioni cattoliche hanno denunciato lo scultore e la sindaca per blasfemia: reato che il codice spagnolo punisce con un anno di carcere. Settantaquattro sono invece gli anni di galera che Vox, l’arrembante partito di estrema destra, chiede per l’ex vicepresidente catalano Oriol Junqueras, additato come «capo di un’organizzazione criminale». La Procura si accontenterebbe di 25 anni per ribellione, ma il movimento di Santiago Abascal Conde, il leader con la pistola, ha ottenuto di presentarsi come parte civile nel maxiprocesso ai (poveri) diavoli del separatismo catalano. Dirigenti politici eletti dal popolo, che hanno certo sbagliato a forzare la legge, ma ora si ritrovano ostaggio di una partita molto più grande di loro, in un’altalena tra l’ergastolo e l’amnistia che sarebbe la logica conseguenza di un accordo, per ora remotissimo.
Infuria semmai lo scontro tra opposti sovranismi, quello catalano e quello spagnolista, che si è dato convegno a Madrid in plaza de Colon, la piazza della destra; dove tra falangisti che cantavano «Cara al Sol» e salutavano romanamente si è trovato a proprio agio Manuel Valls, candidato sindaco di Barcellona, ex primo ministro socialista francese, venuto a manifestare contro il primo ministro socialista spagnolo, Pedro Sànchez. Del resto era stato proprio Sànchez a evocare il demone franchista, pretendendo di riesumare dal Valle de los Caìdos le spoglie del Caudillo, difese strenuamente dall’abate legatissimo alla memoria del dittatore.
In tutto questo, ieri è di fatto caduto il governo. Un trauma che appare il semplice corollario della tempesta perfetta che incombe sul Paese. Sànchez non aveva vinto le elezioni. Era però riuscito ad aggregare i populisti di Podemos, i separatisti catalani e i nazionalisti baschi per far cadere Mariano Rajoy, e prenderne il posto. Un governo debole, nato dal rigetto della destra e dall’esigenza di aprire un dialogo con Barcellona, fallito prima di cominciare anche per il veto del «clan degli andalusi»: l’opposizione interna che fa capo al Grande Vecchio del socialismo iberico, il sivigliano Felipe Gonzalez. Se la ricca Catalogna se ne va, alla povera Andalusia che resta? Così ora a casa va mestamente Sànchez, sconfitto nettamente in Parlamento sui «Presupuestos», il bilancio dello Stato. Domani si dovrebbe conoscere la data delle elezioni anticipate.
Nel frattempo a destra è accaduto di tutto. Rajoy, accusato di non aver avuto pugno abbastanza duro con i catalani — nonostante le manganellate della Guardia Civil agli elettori del referendum illegale —, è tornato a lavorare al catasto nella sua Galizia. L’erede designata Soraya Saenz de Santamaria è stata clamorosamente battuta alle primarie da Pablo Casado, l’uomo di José-Maria Aznar, padrino dell’ala dura del partito popolare. Ma neppure lui è riuscito a frenare la nascita di una forza a destra del Pp, novità assoluta nella giovane democrazia spagnola. Una mutazione storica, un tabù infranto. Vox ha già fatto nascere un governo di destra in Andalusia, un tempo bastione rosso. Anche in Spagna i populisti sono entrati in partita.
La campagna elettorale si annuncia infuocata. Sànchez gioca la carta dell’Europa, facendosi fotografare accanto a Merkel e Macron: con l’Italia fuori gioco, la Spagna si candida a terza forza dopo Germania e Francia. Non è detto però che ai fini interni la mossa socialista rappresenti un vantaggio.
Le grandi capitali dell’Unione non sono mai state così deboli: Londra quasi fuori, Parigi sottosopra, Berlino incupita dal tramonto della Cancelliera; Barcellona, la più grande città non capitale del continente, freme; di Roma meglio tacere per carità di patria. L’Europa è a un tornante della storia; tra cento giorni elegge il proprio Parlamento; e non sarà un voto qualunque. (E comunque a Madrid, nel Parque del Buen Retiro, sorge dal 1885 la statua all’Angelo Caduto: nel cuore della cattolicissima Spagna un monumento al diavolo c’è già).

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