21 Novembre 2024

Corriere della Sera

Su una cosa la maggioranza si ritrova, al di là della decisione a tavolino di scontrarsi di qui alle Europee di fine maggio: rimuovere le critiche che arrivano alla manovra economica dalle istituzioni internazionali; e, in parallelo, martellare contro la Commissione Ue. Si tratta di uno dei pochissimi punti che accomunano in questo momento Movimento Cinque Stelle e Lega. Anche se nel primo si ammette una punta di preoccupazione, superata in nome dell’esigenza di risolvere un’emergenza sociale. Nel Carroccio, invece, si tende a liquidare le critiche come una sorta di provocazione da parte dei soliti nemici del primo governo dichiaratamente populista dell’Europa occidentale.
D’altronde, nel momento in cui l’Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) mette in mora sia reddito di cittadinanza, sia riforma delle pensioni con quota 100, il premier Giuseppe Conte e i suoi vice Luigi Di Maio e Matteo Salvini ritrovano un simulacro di unità. Ma c’è una vittima collaterale di questo ricompattamento: il ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Come era accaduto nell’autunno scorso, quando il governo doveva presentare a Bruxelles una manovra finanziaria dai contorni ritenuti inaccettabili, Tria deve cercare di tenere conto di tutto. E la pressione della maggioranza su di lui, come allora, aumenta.
La vicenda di una sua stretta collaboratrice presa di mira per tensioni con Palazzo Chigi e questioni familistiche, è un modo indiretto per tentare di renderlo più malleabile; e per fargli capire che è in bilico. I Cinque Stelle continuano a ritenere Tria un ministro tecnico infido. Lo accusano di essere una sorta di eterno outsider che accoglie le critiche, ultime quelle dell’Ocse, contro i provvedimenti del governo, senza mai difenderli politicamente. A farlo è Conte. In due incontri separati, ieri ha spiegato prima al segretario generale dell’Ocse, Angel Gurria, e poi al presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, perché la strategia non cambierà.
Secondo il premier, l’organizzazione di Gurria avrebbe sottovalutato gli effetti «di breve e lungo periodo» delle misure prese. E ha ricordato che il suo governo aveva «previsto il rallentamento economico». In modo più colorito, Salvini accredita una tesi secondo la quale «se avessimo dato ascolto all’Europa ora saremmo in mutande». Ma questa perentorietà deve fare i conti con previsioni pressoché unanimi che danno l’Italia in recessione, economicamente immobile; e sull’orlo di un peggioramento ulteriore della sua situazione debitoria.
In questa fase, sembrano esserne più consapevoli i Cinque Stelle della Lega. Forse perché l’allarme si concentra su quota 100 più che sul reddito: è dalla prima che possono arrivare effetti negativi per l’occupazione e i conti. Si tratta di misure che promettono di portare l’Italia non fuori, ma ancora più dentro la crisi; e che potrebbero obbligare dopo le Europee a una correzione di rotta segnata proprio da quella austerità e da quei tagli che la maggioranza tenta di esorcizzare. «Il governo fa finta di niente», accusa il segretario del Pd, Nicola Zingaretti. È uno scontro tra due visioni e due narrative elettorali, ma non solo. La posta in gioco, oltre alla sopravvivenza del governo giallo-verde, riguarda un modello di Europa.

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