21 Febbraio 2025

L’uso della tecnologia non deve limitarsi a un semplice canale di comunicazione ma dare supporto concreto all’attività clinica: un sistema basato sull’intelligenza artificiale potrebbe aiutare i Mmg nella definizione di diagnosi e terapie

La medicina generale italiana sta affrontando una trasformazione profonda, spinta da sfide strutturali che ne stanno ridisegnando i confini. Tra la riduzione del numero di medici di famiglia, l’incremento dei pazienti cronici e l’esplosione della domanda di assistenza, il settore si trova a un bivio cruciale. Quali strategie possono garantire la sostenibilità del sistema? E quale ruolo avranno le nuove tecnologie nel processo di riorganizzazione?
Negli ultimi anni, il numero di medici di medicina generale (Mmg) si è progressivamente ridotto: dai circa 46.000 professionisti attivi nel 2009 si è scesi a meno di 40.000 nel 2022. Nel frattempo, la popolazione invecchia e cresce la percentuale di persone con patologie croniche, che necessitano di un supporto continuo. Oggi, su una media di 1.500 assistiti per medico, circa 600 sono pazienti cronici che richiedono monitoraggi frequenti, prescrizioni e consulti periodici.

Boom di contatti: da 50 a 100 giornalieri
Questa situazione ha portato a un aumento esponenziale dei contatti giornalieri: ogni medico gestisce in media 50 pazienti al giorno, ma in alcuni casi il numero supera i 100. Mantenere questi ritmi con le modalità tradizionali basate sull’accesso fisico agli ambulatori sarebbe insostenibile, e proprio per questo è emersa la necessità di una nuova organizzazione del lavoro.
Per far fronte ai crescenti ritmi di lavoro, i Mmg hanno adottato un modello multicanale di assistenza che combina visite in studio con strumenti remoti. L’accesso alla medicina generale oggi passa sempre più attraverso strumenti remoti che siano sincroni (telefonate, videochiamate) o asincroni (e-mail, messaggi su piattaforme dedicate), permettendo di distribuire il carico di lavoro e garantire una risposta alle richieste dei pazienti.

Il 76% delle interazioni avviene da remoto
I dati raccolti da uno studio del Cergas SDA Bocconi in tre contesti italiani differenti (Lecco, l’Emilia-Romagnae Scampia) mostrano che circa il 70% delle interazioni avviene da remoto, indipendentemente dalla regione di appartenenza, dalle caratteristiche del medico (età, genere, forma associativa, numero di pazienti iscritti) o dalle caratteristiche dei pazienti (età, genere, condizione cronica, condizione di invalidità, reddito). Questo fenomeno non è il risultato di una strategia centralizzata, ma di un adattamento spontaneo da parte dei medici e dei cittadini, che hanno progressivamente integrato nuove modalità di interazione.
L’introduzione massiva dei canali remoti ha posto una questione cruciale: come conciliare la necessità di garantire una medicina “vicina” ai cittadini con la crescente digitalizzazione dei servizi? Tradizionalmente, la prossimità è stata intesa come presenza fisica del medico sul territorio, ma oggi questa definizione è sempre più sfumata. I pazienti non vogliono rinunciare al contatto con il proprio medico, ma al tempo stesso privilegiano strumenti che rendano l’accesso alle cure più rapido ed efficiente.
I dati raccolti confermano che non esiste più un unico modello valido per tutti. L’anziano di oggi non è più quello di vent’anni fa: viaggia, si sposta frequentemente e ha familiarità con strumenti digitali. Per molti, la possibilità di gestire le proprie necessità sanitarie senza dover andare fisicamente in ambulatorio rappresenta un vantaggio. Tuttavia, rimane una fetta di pazienti che preferisce o necessita di un’interazione diretta, ed è su questa categoria che bisogna concentrare le risorse fisiche.

L’adozione dei canali digitali ha portato con sé un’altra sfida: la gestione del carico di lavoro dei Mmg. I medici più disponibili e attenti alle esigenze dei pazienti sono spesso quelli che si trovano maggiormente sotto pressione, perché hanno scelto strumenti sincroni come WhatsApp o il telefono per rispondere rapidamente ai loro assistiti. Questo, però, ha generato un sovraccarico che va oltre i tempi di lavoro ordinari, portando in alcuni casi a situazioni di stress e burnout.

L’intelligenza artificiale in campo
Per evitare che l’efficacia della telemedicina si trasformi in un boomerang per i professionisti, è fondamentale regolamentare e ottimizzare l’uso dei vari strumenti. L’integrazione di piattaforme digitali che centralizzino le richieste, privilegiando modalità asincrone e strutturate, può ridurre il carico cognitivo e migliorare la qualità del servizio. L’uso della tecnologia non deve limitarsi a un semplice canale di comunicazione, ma può diventare un supporto concreto all’attività clinica. Un passo decisivo in questa direzione potrebbe essere l’adozione di un Clinical Decision Support System (CDSS), ovvero un sistema basato su intelligenza artificiale in grado di aiutare i Mmg nella definizione delle diagnosi e delle terapie.
Un’iniziativa in questa direzione è già in corso: l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) ha avviato un progetto finanziato dal Pnrr per sviluppare una piattaforma di supporto all’assistenza primaria. Un sistema di questo tipo consentirebbe di uniformare i comportamenti prescrittivi, ridurre la variabilità tra professionisti e garantire ai pazienti trattamenti sempre coerenti con le migliori evidenze scientifiche.
La medicina generale sta attraversando una trasformazione epocale. Il modello tradizionale basato sull’accesso fisico esclusivo agli studi medici non è più sostenibile, e il futuro sarà sempre più orientato verso un’integrazione tra presenza e remoto. Se gestita in modo efficace, questa rivoluzione può non solo migliorare l’efficienza del sistema sanitario, ma anche garantire ai pazienti un servizio più flessibile e personalizzato. La sfida sarà trovare il giusto equilibrio tra prossimità, innovazione e sostenibilità operativa per i professionisti della salute.

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