Fonte: Sole 24 Ore
di Angelo Panebianco
Negli ultimi anni il Paese si è ri-islamizzato, ma nonostante la «cura» Erdogan la società resta divisa
Nella vita internazionale ci si imbatte spesso in due tipi di problemi: quelli affrontabili e quelli non affrontabili. I primi, tipicamente, tengono impegnata la diplomazia. A esempio, molti in questo momento si stanno dando da fare per ottenere un cessate il fuoco fra Israele e Hamas. Nessuno pensa di «risolvere» alcunché: si tratta di un conflitto destinato a durare per chissà quanti anni o decenni ancora. Ma il problema è «affrontabile» nel senso che sarà forse possibile metterci una toppa provvisoria. Ci sono poi problemi di altra natura, del tutto intrattabili. Nessuno sa come affrontarli. In genere, si cerca di rimuoverli, di fingere che non esistano. Nella speranza che sia la storia futura, nella sua costitutiva imprevedibilità, a scioglierne i nodi. Per quanto tempo ancora il mondo occidentale potrà fare finta che la Turchia — ossia un membro della propria principale organizzazione militare (la Nato) — non sia diventato un nemico? Come si fa a essere alleati militarmente del nemico?
Ricapitoliamo, per sommi capi, i fatti. La Turchia fa parte della Nato dal 1952. Per decenni è stata dunque parte integrante dell’alleanza occidentale. Una colonna. Per conseguenza, era anche alleata di Israele. C’era un rapporto stretto fra la collocazione internazionale della Turchia e il suo regime interno. La Turchia moderna fu plasmata da Mustafa Kemal Atatürk che la volle laica ed «europea».
Una eredità che i militari, vera struttura portante del regime turco (anche nelle fasi in cui vigeva la democrazia parlamentare) difendevano e mantenevano viva. Laicità in politica interna, filo-occidentalismo in politica estera. Poi le cose sono cambiate: la Turchia islamica, quella ridotta al silenzio o quasi sotto Atatürk, si prese la rivincita sconfiggendo o mettendo nell’angolo la Turchia europea. Il partito islamico guidato da Recep Tayyip Erdogan ha, passo dopo passo, smantellato l’eredità di Atatürk, ha messo fuori gioco i militari (e ha dato loro la spallata decisiva dopo il fallito colpo di Stato del 2016), ha ri-islamizzato gran parte della società. Con la ri-islamizzazione è finito l’occidentalismo turco. Si può discutere se l’Europa abbia o no una qualche responsabilità: il fuoco di sbarramento contro la richiesta della Turchia di entrare nella Unione Europea, sicuramente contribuì a indebolire e umiliare i turchi europei a tutto vantaggio della Turchia islamica. Ma forse la ri-islamizzazione ha cause molteplici e complesse, non è solo responsabilità dell’Europa.
Il primo segno del cambiamento di collocazione internazionale risale al 2003 quando, essendo già al governo il partito islamico, la Turchia, per la prima volta dal dopoguerra, rispose picche a una richiesta degli Stati Uniti, e rifiutò di permettere all’esercito americano di usare le basi in Turchia per colpire l’Iraq di Saddam Hussein.
Ma forse l’anno in cui il cambiamento di collocazione internazionale per effetto del mutamento di regime interno e della ri-islamizzazione in atto della società turca diventò più evidente fu il 2010: l’attacco israeliano a una nave turca che portava ufficialmente aiuti umanitari ai palestinesi (ma, secondo gli israeliani, anche armi) segnalò al mondo che era in atto un rivolgimento delle alleanze. Finiva l’intesa, durata decenni, fra Israele e la Turchia. Il progressivo indebolimento dell’alleanza turca con gli occidentali si sposava (coerentemente) con un cambiamento di fronte dei turchi anche in Medio Oriente. Finiva l’avventura filo-occidentale voluta da Atatürk, cominciava quella neo-ottomana.
Oggi la Turchia gioca su tutti i tavoli possibili. Il fatto di essere tuttora membro della Nato le consente di tenere a bada gli occidentali. Nel frattempo, mantiene stretti rapporti con Putin (con cui pure è rivale nella competizione per la spartizione della Libia). Grazie a tali rapporti può permettersi anche di sfidare (fino ad ora con successo) quella Nato di cui pure è parte. Come dimostrò quando ruppe la solidarietà atlantica acquistando missili dalla Russia. Grande sponsor, insieme al Qatar, dei Fratelli Musulmani, Erdogan gioca contro Arabia Saudita ed Egitto puntando alla leadership del mondo sunnita. Il che non gli impedisce di trovare punti di contatto e convergenze con l’Iran sciita. Come in questo momento (ma non da oggi) nel sostegno ad Hamas.
Chi pensa che comunque l’azione turca riguardi il solo Medio Oriente e non tocchi l’Europa si sbaglia di grosso. Prima di tutto perché ciò che accade là ha conseguenze qua. L’appoggio turco al radicalismo islamico in Medio Oriente non può non riguardarci. Inoltre, se il Mediterraneo risulterà stabilmente spartito fra turchi e russi, saranno mani diverse da quelle europee (e ostili all’Europa) ad avere il controllo su vitali fonti energetiche nonché sui rubinetti che regolano i flussi migratori.
Ma, per giunta, l’azione turca, e le ambizioni di Erdogan, travalicano i confini mediorientali. Come hanno dimostrato le tensioni fra Turchia e Grecia per il controllo dei giacimenti di gas nel Mediterraneo orientale. Come dimostra anche il massiccio intervento nell’area balcanica dove la Turchia combina investimenti economici e indottrinamento religioso.
E non è ancora tutto. Si pensi al durissimo scontro fra il presidente francese Emmanuel Macron e il dittatore Erdogan. La Turchia, infatti, ci riprova, questa volta con altri mezzi. Per ben due volte (con gli assedi di Vienna del 1529 e del 1683), l’impero ottomano cercò la strada per invadere l’Europa. Ora la Turchia vuole accrescere la sua influenza politica nel Vecchio Continente finanziando moschee che sponsorizzano l’islam più radicale. Per condizionare dall’interno i Paesi europei.
alvolta, come già si è detto, è la storia, nella sua imprevedibilità, a sciogliere i nodi che gli umani non sanno come affrontare. Magari (chissà?), la Turchia europea, per quanto colpita duramente e indebolita da quella asiatico-islamica, prima o poi risolleverà la testa. Nonostante la «cura» Erdogan, la Turchia resta una società divisa, a cavallo fra Europa e Asia. Se le due Turchie torneranno a scontrarsi, questo avrà certamente conseguenze e ripercussioni anche sulla politica estera di quel Paese. Forse ne ridimensionerà le ambizioni, forse lo renderà meno aggressivo sia in Medio Oriente che nei confronti dell’Europa. Se tu non puoi cavare le castagne dal fuoco, devi sperare che ci riesca ciò che alcuni chiamano Provvidenza e altri Fortuna.