Fonte: La Repubblica
La Commissione aggiorna le stime macroeconomiche. La crescita italiana del 2016 rivista da +1,5% a +1,4%, leggero ribasso anche per il 2017. Il disavanzo sale dal 2,4 al 2,5% del Pil, ma preoccupa il peggioramento “strutturale”. Crescono i rischi sulla ripresa, Moscovici: “Sostegno alle riforme italiane, ma nel rispetto del Patto. Risposte su flessibilità a maggio, prevalga il compormesso”
La Ue rivede leggermente al ribasso la previsione di crescita dell’Italia per l’anno in corso, mentre sale quella sul disavanzo del bilancio pubblico. Previsioni aggiornate dalla Commissione nel mezzo del braccio di ferro tra Bruxelles e Roma sulla richiesta di flessibilità da parte del governo italiano, sulla quale le risposte arriveranno a maggio. Per il Commissario Ue agli Affari economici, Pierre Moscovici, il tema va affrontato con “un pò di serenità, di lavoro e di pazienza. Sono persuaso che lo spirito di dialogo e compromesso debba sempre prevalere sullo scontro”.
I numeri dell’Italia. Nell’aggiornamento invernale delle stime della Commissione, Bruxelles prevede che il Pil tricolore si sia espanso dello 0,8% nel 2015, farà +1,4% quest’anno e quindi +1,3% nel 2017. A novembre, stimava per ogni anno uno 0,1% in più. “Dopo essere cresciuta moderatamente nel 2015, l’economia italiana guadagna slancio nel 2016 e 2017 col rafforzarsi della domanda interna”, scrive Bruxelles, secondo cui “la caduta dei prezzi del petrolio e una posizione di bilancio espansiva sosterranno la domanda e compenseranno il rallentamento degli export” registrato nella seconda metà del 2015.
DATI: Le stime per l’Italia a confronto
Anche per quanto rigarda il capitolo del disavanzo, le variazioni nella pagella italiala sono minime: nel 2016 il deficit/Pil italiano si attesterà a quota 2,5% (dopo il 2,6% dell’anno scorso) e nel 2017 scenderà a quota 1,5%. Le correzioni sull’ultima stima sono nei due versi: a novembre Bruxelles indicava per quest’anno un deficit/Pil al 2,3% e per l’anno prossimo all’1,6%. Il governo prevede un 2,4% per il 2016 (comprendendo le spese aggiuntive per sicurezza e cultura) e 1,1% per il 2016. Peggiora il saldo strutturale, al quale gli sceriffi di Bruxelles guardano maggiormente quando si tratta di aprire procedure contro un Paese che ha i conti fuori dai binari: da -1% nel 2015 a -1,7% del 2016. Quanto infine al debito, sale leggermente la stima 2016 al 132,4%, per scendere poi al 130,6% nel 2017 (quando in autunno si pensava rispettivamente 132,2 e 130% del Prodotto). Migliora la stima sulla disoccupazione, che dovrebbe scendere all’11,4% nel 2016 e quindi 11,3% l’anno dopo.
La debolezza della ripresa. Al di là dei numeri sull’Italia, le previsioni arrivano in un momento di difficile ripresa per l’Eurozona: le prospettive “restano sottoposte a grande incertezza e i rischi complessivi stanno aumentando”. Per questo motivo il Pil dell’Eurozona per il 2016 è rivisto al ribasso all’1,7% rispetto all’1,8% calcolato a novembre. Per il 2017 sarà all’1,9%. Ammonisce il commissario per gli Affari economici, Pierre Moscovici: “La debolezza della congiuntura internazionale costituisce un rischio: per questo è necessario essere estremamente vigili. Dobbiamo impegnarci ulteriormente per rafforzare gli investimenti, aumentare la nostra competitività in maniera intelligente e completare il lavoro di risanamento delle finanze pubbliche”.
La trattativa sulla flessibilità. Le previsioni arrivano in un momento di accesa dialettica tra Bruxelles e Roma, con il governo che attende ancora il parere definitivo della Commissione sulla legge di Stabilità per il 2016, che domanda di arrivare al 2,4% di rapporto tra deficit e Pil, un livello raggiunto dopo gli attentati di Parigi con il lancio del programma sicurezza-cultura da parte del premier, Matteo Renzi. Sul tavolo c’è la trattativa perché Bruxelles accetti quel livello, che è ben superiore rispetto agli obiettivi originari dati all’Italia nell’ambito del Patto di stabilità e crescita. Con l’avvento della presidenza Juncker, la Ue ha (in parte) cambiato rotta dando spazio alla famosa ‘flessibilità’, che altro non è se non la possibilità di correggere il bilancio (quindi tagliare le spese) meno del previsto, in presenza di eventi straordinari. Questi, per l’Italia, sono l’attuazione delle riforme strutturali, il coinvestimento con la Ue in progetti per lo sviluppo e – da ultima – la gestione del flusso dei migranti. In tutto, si parla di circa 16 miliardi di richieste di flessibilità, o maggior deficit.
Sull’ultimo punto, in particolare, si è acceso il dibattito. L’Italia chiede di prendere uno spazio di deficit pari allo 0,2% del Pil, sostenendo di aver speso poco più di 3 miliardi per gestire i rifugiati. Lo fa anche in forza della decisione Ue di scomputare dal conteggio del deficit i contributi chiesti ai Paesi membri per sostenere la Turchia e le sue misure per le migrazioni: valgono 3 miliardi in tutto e per l’Italia il conto – dopo l’accordo di ieri – è sceso da 281 a 224 milioni. Se i 3 miliardi di flessibilità verranno concessi, si saprà solo a primavera, quando la Ue valuterà i costi per i migranti nel suo complesso e darà il giudizio definitivo sulla manovra. Oggi, nelle previsioni, la Commissione prende atto del fatto che le spese sono state allo 0,2% del Pil nel 2015, solo 0,05 punti sopra il livello del 2014 ma “più del doppio rispetto a quelle del triennio 2011-2013”. Moscovici ha sottolineato in conferenza stampa che l’Italia “è il Paese che beneficia più di ogni altro in Europa della flessibilità” e ha ribadito che “il dialogo con le autorità italiane è aperto e di qualità”; ma le risposte definitive “arriveranno in maggio, con uno spirito di sostegno delle riforme ma che non contravvenga al Patto di Stabilità e crescita”
In ballo c’è molto del futuro programma di Renzi. Se per quest’anno si potrebbe profilare una correzione dei conti tutto sommato contenuta, l’anno prossimo si rischia di avere nuovamente a che fare con i moloch delle clausole di salvaguardia e di una stretta alle spese ben più consistente. Il programma originario, infatti, prevede una discesa del deficit fino all’1,1% del Pil, mentre i possibili aumenti di Iva e accise pronti a scattare pesano ancora una quindicina di miliardi.