22 Novembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

merkel

di Danilo Taino

Senza la semi-leadership della Germania (oltre che senza la Bce) l’eurozona sarebbe probabilmente implosa. Ruolo centrale il governo tedesco l’ha poi avuto nel tenere insieme i Paesi Ue di fronte alla Russia durante la crisi ucraina. E oggi nell’affrontare il grande flusso di rifugiati

 

E’ la Germania il problema dell’Europa d’oggi? Probabilmente no. Semmai, il Paese è un buon pezzo della soluzione. In una Ue di fronte a crisi multiple, la ricerca del colpevole è assillante. Così come quella della scorciatoia magica per mettersi al sicuro. Non esistono né l’uno né l’altra. C’è però forse una via democratica e pragmatica per cerca di evitare la frantumazione della Ue e dell’eurozona. Piaccia o no, passa da Berlino. Ed è politica, non economica o fiscale.

Lo stato di «semi egemonia» in Europa che gli storici attribuiscono da tempo alla Germania è il prodotto di due fatti, entrambi in buona parte fuori dal controllo del governo di Berlino. Da un lato c’è la centralità tedesca nel Continente, oggettiva: geografica ed economica, ma anche politica (è il sistema più stabile), di modello (è la Nazione della Ue dove la democrazia è più rispettata, assieme al Regno Unito), morale (dopo gli orrori del nazismo è l’unico Paese ad avere affrontato i mostri del passato e ad averli portati alla luce, fatto che oggi lo rende più impermeabile di ogni altro al nazionalismo). Dall’altro lato c’è il rifiuto di una chiara leadership tedesca da parte della Germania stessa (i fantasmi) e da parte dei suoi partner europei. Il risultato è la «semi egemonia».

Si tratta di fattori strutturali e storici per nulla nuovi. La novità sta nel come Berlino li affronta. Le crisi finanziarie mondiale nel 2008 e europea dal 2010 avevano la forza per distruggere l’eurozona e la moneta unica. Le quali non sono mai state il risultato di scelte economiche e finanziarie ma di scelte politiche, volute soprattutto dalla Francia per evitare che, dopo la riunificazione, la Germania dominasse il Continente con il potente marco. Ed erano dunque costruzioni vulnerabili, dal punto di vista economico, come abbiamo visto. Per ragioni politiche, dunque, la Germania accettò negli anni Novanta di entrare nella gabbia dell’euro, anche se la maggioranza dell’establishment era scettica: da allora ha lavorato per tenere in piedi la costruzione vacillante.

Dal 2010, una serie di Paesi sono stati salvati dal crac finanziario con programmi europei (Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna, Cipro). E’ stata impostata un’unione bancaria impensabile prima, anche se non ancora completa. E oggi da quella crisi l’eurozona è fuori. Il ruolo di Angela Merkel e di Wolfgang Schäuble, in tutto questo, è stata contraddittorio, come capita ai leader durante le crisi, ma decisivo. Senza la semi leadership di Berlino (oltre che senza la Bce) l’eurozona sarebbe probabilmente implosa. Ruolo centrale il governo tedesco l’ha poi avuto nel tenere insieme i Paesi Ue di fronte alla Russia durante la crisi ucraina. E oggi nell’affrontare il grande flusso di rifugiati.

Certo, i passi avanti verso una maggiore integrazione europea, verso un’unione di bilancio e un’unione politica sono stati limitati. Ma, come si capisce dalle situazioni politiche in tutta Europa, passi più decisi sarebbe stati possibili solo contro il consenso democratico, con scelte d’autorità: che la Germania non è più disposta a fare e che comunque nell’Europa di oggi non avrebbero speranze di sopravvivere. In realtà, cos’è che frena anche quei passaggi di maggiore integrazione che sarebbero possibili, ad esempio il completamento dell’Unione bancaria? Berlino non è chiusa a quella prospettiva: ritiene però che non possa essere oggi percorsa perché una serie di Paesi pigri non ha ridotto i rischi nei bilanci delle sue banche, mantiene livelli di debito rischiosi e vorrebbe fare passi indietro su decisioni prese, ad esempio le regole sul bail-in.

Con una serie di Paesi, anche dell’eurozona, che non sono politicamente in grado di fare ulteriori passi verso una maggiore integrazione — Olanda, Finlandia, Austria, Francia ai quali si può probabilmente aggiungere l’Italia, una volta tolta retorica — l’unica strada percorribile oggi è quella non di accordi istituzionali impossibili ma di accordi politici tra Paesi sui temi decisivi. E, in questo, cosa sta facendo Berlino? Sui profughi sta cercando soluzioni di lungo periodo, assieme all’Italia. In economia, non si è opposta alla flessibilità della Commissione Ue sui bilanci di Francia, Spagna, Italia; sta spingendo i salari interni verso l’alto; grazie ai profughi è tornata ad avere una posizione di bilancio leggermente espansiva. Sul confronto con la Russia, cerca di tenere uniti gli europei.

Si può chiederle di più. Per esempio di liberalizzare i servizi domestici e di spingere per un approfondimento del mercato unico della Ue. Quello che non si può fare è chiederle un’Unione di bilancio e un’Unione politica che getterebbero l’Europa in un caos molto peggiore di quello odierno. Merkel e Berlino su quella strada non andranno. Perché non è l’economia a decidere, nemmeno oggi. Sono la democrazia e la politica.

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