Smettiamo di duellare sulla pelle delle donne, dalle ragazze alle più anziane dimenticate
«Qualcosa è cambiato», abbiamo scritto e ripetuto un anno fa, in questi stessi giorni di novembre, mentre le piazze italiane si riempivano di promesse e di rumore, di ragazze e ragazzi, di donne e uomini, generazioni che si riconoscevano nel nome di Giulia Cecchettin. La 22enne ammazzata da Filippo Turetta, il fidanzato lasciato, che non sopportava di essere stato riconsegnato alla sua vita «senza». Senza poter prevedere, controllare, chiudere, rinchiudere. Che non sopportava – non riusciva probabilmente neppure a pensarlo – che lei si laureasse prima, che la «sua» Giulia gli camminasse davanti, non dietro, mai più. Ci siamo detti che qualcosa, forse tutto, sarebbe cambiato: per amore, per forza. Gino Cecchettin, lui ci ha provato, ogni mese da allora, ogni settimana, attraversando l’Italia, le scuole, le librerie, i teatri. Armato del suo dolore di padre, un dolore custodito in ogni respiro in più, e della speranza di poter salvare anche solo un’altra Giulia – magari una ventenne incontrata per caso in aereo e incoraggiata a rovesciare il mondo.
Ci hanno provato, come fanno dagli anni Ottanta, i centri antiviolenza che sono sempre lì, pronti ad accogliere più donne e bambini possibile, a registrare nomi e indirizzi e racconti in infiniti fogli che salvano la nostra memoria rimossa. Alla ricerca di un appartamento ammobiliato che possa funzionare da ponte – o anche semplicemente da scoglio nella tempesta – per non arretrare, per non rientrare. Poi, magari, un lavoro, soldi su un conto corrente tuo. E noi? Noi ci abbiamo provato? O abbiamo preferito accapigliarci, disperdendo le nostre risorse – intellettuali, e spesso anche quelle economiche – tra accuse e obiezioni? Il «patriarcato» esiste ancora o non esiste più dal 1975 (riforma del diritto di famiglia) se non addirittura da qualche secolo? Ma perché non guardarci attorno e domandarci piuttosto se persistono asimmetrie di potere e libertà nelle vite di uomini e donne. Non sarebbe così difficile rispondere. E che dire del «femminismo»? È il contrario del «maschilismo» o (Treccani) è un movimento collettivo che affonda le radici nella cultura illuministica, proponendo «nuove relazioni tra i generi nella sfera privata e una diversa collocazione sociale in quella pubblica»? Nessuno e nessuna qui vuole l’uguaglianza in termini di uniformità; il desiderio, certo rivoluzionario in un sistema sfiancato dall’autodifesa, è di equità in quanto pari possibilità di scelta e pari condizioni competitive. Ci toccherebbe però ammettere che non ha alcun senso dividerci tra «noi» e «loro», maschi e femmine, destra e sinistra, curva sud e curva nord. Dovremmo scucire trame d’infanzia collaudate e rimbastire orli incerti, capaci di vestire ciò che siamo diventati e diventate. Rinunciare a frasi fatte, gesti, consuetudini: uscire, insieme, dai luoghi comuni per andare allo scoperto e pensare nuove parole, tentare nuove convivenze. Altrimenti finiremo per ritrovarci lungo un binario (morto) – per rubare un’immagine a Massimo Gramellini nei suoi Caffè.
Non è per niente facile abbandonare il torpore infiammato delle nostre poltrone, scegliere di alzarci e cambiare, invece di inveire e assopirci. Non è scontato capire – e, prima ancora, sentire – che non c’è sottrazione e tanto meno sostituzione. Al contrario: ci sarebbe, all’orizzonte, una moltiplicazione di spazi, dentro e fuori, case e piazze, per tutte e tutti. Se decideremo invece che non ne vale la pena, che è troppo per noi o comunque troppo presto, ricordiamoci che lo stiamo facendo sulla pelle di decine di ragazze, fermate sulla soglia di vite appena dischiuse, o di anziane, abbandonate alle botte quotidiane in stanze sigillate. Fino a quella cadenza terribile, feroce, dalla quale fatichiamo a prendere il largo: una uccisa ogni tre giorni, un centinaio nei 328 di questo 2024, nove su dieci in famiglia, nell’85% circa dei casi per mano – lama, pistola, bastone, veleno – di cittadini italiani. Gridiamo noi, oggi, 25 novembre, le loro voci contro lo sciabordare del silenzio, contro la solitudine di storie che dimenticheremo. Ma promettiamo, ancora e ancora, di non smettere dopo la mezzanotte di questa notte.