21 Novembre 2024

Pd e alleati restano forze «urbane». Dentro i 5 Stelle si rafforza la linea Conte del sì all’alleanza con i dem. Il centrodestra parte all’attacco della legge sui sindaci: abbassare dal 50% al 40% la soglia per il secondo turno

«Da Firenze a Bari, da Campobasso a Perugia, da Potenza a Cagliari. È irrevocabile: le città hanno bocciato la destra che governa e mandato un messaggio chiaro a Giorgia Meloni. Basta tagli alla sanità, basta ai salari bassi e no all’autonomia differenziata».

La vittoria dem nelle città rafforza la costruzione dell’alternativa…
Dopo il 24% delle europee e le 10 città capoluogo vinte al primo turno, al Nazareno la festa continua e la segretaria del Pd Elly Schlein batte sul ferro caldo. In effetti tutti e 6 i capoluoghi di regione al voto sono ora a guida centrosinistra. I dem e gli alleati del campo progressista strappano 3 capoluoghi di regione alla destra: Perugia, Potenza e Vibo, che si aggiungono a Cagliari già conquistata due settimane fa, oltre a Campobasso che era a guida M5s. E confermano con vittorie nette Firenze e Bari, dove pure il cosiddetto campo largo (Pd più M5s) si era presentato diviso al primo turno, con percentuali inequivocabili: Vito Leccese è sindaco di Bari con oltre il 70%, Sara Funaro è prima cittadina di Firenze con oltre il 60%. Guardando ai ballottaggi in tutti i 14 capoluoghi di provincia al voto il centrosinistra batte 7 a 5 la destra. E contando tutti i 29 capoluoghi al voto tra primo e sedono tutno la partita finisce 17 a 10 per il centrosinistra (si partiva da 13 a 12).

…ma nei piccoli comuni il centrodestra resta molto più forte
Certamente la vittoria nei capoluoghi può essere un buon viatico per il Pd e i suoi alleati in vista delle prossime regionali in Emilia Romagna, richiamata al voto per l’elezione del governatore Stefano Bonaccini al Parlamento di Strasburgo, e in Umbria, dove la vittoria del centrosinistra a Perugia fa ben sperare nella possibilità di strappare al centrodestra anche la guida della regione. Ma nell’entusiasmo di Schlein c’è il rischio di una distorsione ottica: il voto europeo, nell’analisi di You-Trend, ha confermato che Pd e Avs sono forze politiche molto «urbane», mentre «i tre partiti del centrodestra si confermano decisamente più radicati nei piccoli comuni». Soprattutto per Fdi e Lega la tendenza è marcata: rispettivamente 32,5% e 12,5% nei piccoli comuni a fronte di 23% e 5% nelle grandi città. Insomma, se è vero che dal punto di vista del Pd e del centrosinistra «l’aria di città rende liberi», come sottolinea il commissario Ue uscente Paolo Gentiloni, è pur vero che non basta la vittoria nei centri urbani per vincere in tutto il Paese e tornare al governo.

Il segnale delle urne al campo largo: unità. Rafforzata linea Conte nel M5s
Ad ogni modo non c’è dubbio che i ballottaggi confermano il dato lapalissiano che le attuali opposizioni hanno possibilità di vincere dove si uniscono (nel caso dei Comuni, se non al primo al secondo turno). Una “lezione” che la dirigenza del M5s tende a sottolineare per porre freno alla tentazione di ritorno alle origini isolazioniste ventilata anche dal Garante Beppe Grillo dopo il flop alle europee (9,9%): «I cittadini premiano i progetti di intesa tra le forze di opposizione, frutto non di alchimie di palazzo ma di una convergenza che si va consolidando nelle aule parlamentari quanto nelle piazze. È questo un dato che conforta e incita a continuare, pur nel rispetto delle diversità e differenti identità, a lavorare per costruire l’alternativa al governo Meloni», fa subito sapere Giuseppe Conte. La cui posizione interna al movimento esce dunque rafforzata dai ballottaggi.

Ora il centrodestra riparte all’attacco del ballottaggio: incentiva l’astensione
Quanto al centrodestra, il risultato dei ballottaggi non fa che rafforzare la storica avversione – soprattutto della Lega ma anche di Fratelli d’Italia – ai meccanismi elettorali che prevedono un secondo turno se nessuno raggiunge il 50%. «Al di là dei risultati del secondo turno, di chi ha vinto e di chi ha perso, emerge un dato che deve far riflettere: il doppio turno non è salvifico e anzi incrementa l’astensione – è il commento del presidente del Senato Ignazio la Russa, di Fdi -. Dal 62,83% del primo turno, si è scesi molto sotto il 50% e cioè al 47,71%. In qualche caso, si viene eletti con solo il 20% dei voti degli aventi diritto. A volte, viene addirittura eletto chi ha meno voti assoluti di quanti ne ha avuti l’avversario al primo turno. Inaccettabile. Occorre ripensare a una legge elettorale per le amministrative». Il centrodestra già aveva provato a inserire un emendamento nel Ddl Province per abbassare la soglia al di sotto della quale far scattare il ballottaggio dal 50% al 40%, ma ci aveva rinunciato anche per la veemente protesta di tutti i sindaci di centrosinistra. C’è da credere che il tema si riaprirà presto in Parlamento.

L’idea di una soglia al 40% invece che al 50% anche per la legge elettorale nazionale
Al di là del problema della partecipazione al voto, è chiaro che il sistema del ballottaggio con soglia al 50% tende a favorire un centrosinistra litigioso che poi si riaggrega al secondo turno, e tende anche a favorire le candidature moderate rispetto a quelle radicali. Per questo motivo nei partiti del centrodestra ci sono forti resistenze a prevedere il ballottaggio anche per quanto riguarda la legge elettorale che dovrà accompagnare la riforma costituzionale che introduce il premierato: se proprio non ci sono alternative al ballottaggio, si ragiona nel governo, la soglia non deve essere del 50% ma del 40%.

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