19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

referendum-costituzionale

di Gian Antonio Stella

Forse non ci sarà da attendere davvero il ritorno della Cometa di Halley, come vaticinato nell’Apocalisse di Matteo (Renzi), perché il Paese torni ad aver voglia di cambiare. Ma certo sotto le macerie della riforma costituzionale demolita dai «No» non è rimasto solo l’ex premier reo d’essere apparso come certi condottieri d’un tempo: «Son quel gran Spezzacapo alto e superbo, / a la cui forza ogni altra forza cede / spezzo, rompo, fracasso, frango, snerbo…» Asfaltato l’aspirante asfaltatore, restano infatti intatti molti problemi che poneva. Aggravati dalle lacerazioni di una campagna elettorale che pare aver lasciato i contendenti esausti. Peggio: rancorosi. E per nulla pronti, mentre si ringhiano l’un l’altro, a prender di petto quei problemi finiti per mesi in secondo piano. Agenzie di ieri: «Non arrivano buone notizie dalla Banca d’Italia per il nuovo governo: il debito pubblico torna a salire e a pesare sull’incremento sono le spese delle amministrazioni pubbliche. Insomma, proprio quegli enti che più volte si è cercato di tagliare. Tra l’altro nei primi dieci mesi del 2016 il loro debito è aumentato di 51,1 miliardi. Che fine ha fatto la spending review?» Non è passata affatto, ‘a nuttata… Anzi.
Dare ogni colpa alla valanga di «No» sarebbe ridicolo. Scaricare tutto su Renzi, però, anche. Il punto è che, al di là delle ragioni e dei torti sul referendum e le scelte di governo, non ci possiamo permettere la palude. Sui temi più gravi e urgenti come la risposta da dare ai terremotati sappiamo di poter contare su strutture, apparati, imprese, volontari di eccellenza. Sarà dura, durissima, però ha ragione Sergio Mattarella a essere ottimista. Ma sul resto? Che fine farà il progetto su tempi lunghi «Casa Italia» coordinato da Giovanni Azzone del Politecnico e da Renzo Piano? La «Buona scuola» non ha funzionato e s’è trascinata dietro i problemi di sempre sommandone di nuovi? Lo dicono i fatti: va corretta. Ma un’auspicata pax sindacale (auguri) non può bastare: gli insegnanti delle superiori con meno di 40 anni sono da noi solo il 3% contro il 26% di Francia e Germania, il 43% del Belgio, il 46% del Regno Unito: è un problema da prendere di petto o no? Come? Dal 2008 al 2013, dice la Ragioneria, «le missioni maggiormente ridimensionate sono nell’ordine l’Istruzione universitaria e la Ricerca» con tagli cumulati del 119% e del 73%: è un problema o no? I timori delle Regioni d’una riduzione di spazi avranno sicuramente delle buone ragioni ma è difficile trovare sensato che per fissare regole comuni nelle burocrazie regionali un decreto statale debba avere «l’intesa» di tutte Regioni e, di passaggio in passaggio, di stop in stop, varare per tre volte quello stesso decreto col testo identico. E dopo gli immondi abusi già visti, forse non è bene che ogni Regione conservi un’autonomia quasi assoluta nel definire i propri stipendi… O no?
Il Cnel serve e non andava abolito? Se è così bisogna crederci: metterci soldi, eccellenze, energie, fantasia. Non tenerlo lì, come un carrozzone galleggiante. Non è del Senato la responsabilità della lentezza nel varo delle leggi e sostenerlo era demagogico? Si metta mano subito a una revisione vera, seria, radicale: 172 giorni (dati Openpolis) per una legge avviata dal governo, 420 per quelle d’iniziativa popolare, 504 d’iniziativa parlamentare e 547 d’iniziativa regionale sono troppi. E dirlo, col tono giusto, non è affatto qualunquista o eversivo. «È dinanzi agli occhi di tutti», scriveva Pietro Ingrao nel 1985, «l’assurda ripetitività di dibattiti, di decisioni legislative, di interventi ispettivi; l’esorbitanza del numero dei parlamentari (circa mille!); i difetti pesanti di coordinamento nell’azione dei due rami del Parlamento; l’arcaicità delle suddivisioni e del numero delle commissioni, e in parallelo la debolezza delle strutture di servizio». E sarebbe un peccato se il no alla «riforma Boschi» fosse letto come una conferma vita natural durante del bicameralismo perfetto. Per non dire di quanti, nella scia del trionfo, invocano rivincite impensabili. «Aridatece le Province!». Ma val davvero la pena di ripristinare i vecchi consigli provinciali togliendo le bende che già avvolgono le loro spoglie? Se è vero come dice Achille Variati, presidente della nuova Upi la quale spinge i sindaci a unir le forze, che metà dei dipendenti è già stata smistata e che «i risparmi certificati» sulla spesa corrente dal 2013 al 2016 sono del 37% (da 7,5 a 4,8 miliardi) a parità di servizi, forse è più utile completare l’opera e magari aggiustare quanto non va piuttosto che ricominciare ogni volta da capo.

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