19 Settembre 2024

Fonte: Corriere della Sera

di Massimo Franco

Ormai ci si sta avvicinando a quel limite oltre il quale l’appuntamento con la storia rischia di trasformarsi di colpo in pasticcio e involontaria farsa


L’ennesima richiesta di tempo al Quirinale da parte di Luigi Di Maio e di Matteo Salvini non può non provocare un brivido di perplessità. La spiegazione benevola è che stanno lavorando a un governo così storico, di rottura, con ambizioni di legislatura, e con un premier di prestigio, da giustificare ulteriori approfondimenti. Quella più maliziosa è che le mire personali del capo del Movimento Cinque Stelle e di quello della Lega, e i loro programmi, non riescono ancora a trovare una sintesi; né si capisce più se la troveranno. Non bastano altri annunci su mirabolanti obiettivi da raggiungere a rassicurare sul profilo che la loro maggioranza dovrà assumere.
Ormai ci si sta avvicinando a quel limite oltre il quale l’appuntamento con la storia rischia di trasformarsi di colpo in pasticcio e involontaria farsa. Già il fatto di affidare al voto online del Movimento l’approvazione del «contratto» in gestazione lascia perplessi. Non si può pretendere dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, un’apertura di credito prolungata, per poi rischiare che i risultati raggiunti vengano smentiti da un «voto popolare» virtuale e assai poco trasparente. Lo stesso vale per la Lega, intenzionata a indire una «consultazione tra la cittadinanza» in gazebo allestiti nelle piazze il 19 e il 20 maggio.
Hanno tutta l’aria di espedienti paralleli per scaricarsi dalle responsabilità di un’intesa in bilico: anche se Di Maio si mostra ottimista, Salvini nervoso. E la prospettiva che l’eventuale capo del governo proposto da entrambi si limiti al ruolo di notaio della volontà dei due «contraenti» acuisce la preoccupazione. Ieri il leader dei Cinque Stelle ha definito «esecutori» colui o colei che riceverebbero l’incarico di guidare l’esecutivo. Parola rivelatrice. Azzera i margini di autonomia politica che il premier dovrebbe avere. E tende a limitare la discrezionalità di un capo dello Stato attento a rispettare la volontà dei due partiti più premiati nell’ormai lontano 4 marzo; ma determinato a impedire che le sue prerogative vengano intaccate dalle forze politiche.
Il problema non è solo quello di «non fare pubblicamente nomi» come segno di serietà e di rispetto istituzionale: impegno che gli aspiranti «diarchi» sostengono di avere assunto tra di loro e, c’è da sperare, con Mattarella. La vera serietà è di individuare una persona dotata di credibilità, esperienza e prestigio anche internazionali, in grado di rappresentare l’Italia in mesi cruciali per l’evoluzione dei rapporti di forza in Europa. L’illusione di «comandare» la politica di Palazzo Chigi da dietro le quinte, o da qualche ministero prestigioso, potrebbe rivelarsi pericolosa; e portare non a un governo di legislatura, ma a un effimero ministero elettorale.
La rivendicazione del diritto di guidare l’Italia dopo un voto che ha dato al M5S una percentuale del 32,7 per cento, e alla Lega una quota di consensi superiore (17,4) alle altre due formazioni del centrodestra, Forza Italia (14) e Fratelli d’Italia (4,3), è legittima. Ma la necessità di mettere d’accordo due formazioni insieme trasversali e agli antipodi, e di trovare un premier di compromesso, è la testimonianza che la loro è stata una vittoria molto tra virgolette. A esaltarla e in qualche misura a farla apparire schiacciante è stato soprattutto il mezzo disastro di avversari e alleati.
Eppure, e si vede dalle contorsioni di queste settimane e delle ultime ore, non ci sono veri vincitori. E infatti ieri Salvini ha voluto ringraziare Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni, tornando all’ovile del centrodestra. Per questo, annunciare l’alba di una «Terza Repubblica», e sostenere che i partiti indietreggiano e i cittadini avanzano, rischia di apparire vuota retorica demagogica. In realtà, se si perde ancora tempo senza stringere, non nascerà nulla. Guardare indietro, agli equilibri della scorsa legislatura, non è verosimile: anche se qualcuno tra gli sconfitti sembra accarezzare questo miraggio. Ma andare avanti con toni e approcci divergenti significa solo aprire la strada, per calcolo o per inerzia, a elezioni anticipate.
Mai come ora i protagonisti sono in realtà le forze politiche, e non «i cittadini». Dunque, sarà bene non nascondere le proprie responsabilità dietro il velo della volontà popolare. Sono stati M5S e Lega a chiedere di riaprire le trattative. Il Quirinale ha acconsentito. Sarebbe bene dimostrare rapidamente che il supplemento di fiducia e di pazienza era ben riposto; che il «contratto» non è una finzione per conciliare l’inconciliabile, ma un accordo tra forze e leader consapevoli dei propri limiti: numerici e politici. Forse, l’ansia di andare al governo ha fatto perdere di vista i veri rapporti di forza.

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