22 Novembre 2024
draghi mario

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Palazzo Chigi e Montecitorio smentiscono manovre per il Colle e parlano di «incontri istituzionali» Le voci di un incontro sui numeri in Aula. Il premier vede anche Cartabia

Il passo del premier resta felpato, ma il cambio di marcia spiazza i partiti e sorprende i ministri. Perché un’agenda così fitta di incontri, proprio nel giorno in cui la candidatura di Berlusconi sembra avviata verso il viale del tramonto? Al mattino Mario Draghi sale al Quirinale per un colloquio con il presidente, Sergio Mattarella. A metà pomeriggio il capo del governo varca la soglia di Montecitorio e si chiude per un’ora con il presidente della Camera, Roberto Fico. Rientrato a palazzo Chigi, Draghi riceve la ministra Marta Cartabia, la responsabile dell’Istruzione Maria Cristina Messa e il ministro della Difesa Lorenzo Guerini.
In Parlamento e nell’esecutivo si scatenano le ricostruzioni. E prende quota la suggestione che Draghi si sia consultato con il capo dello Stato e poi con il presidente della Camera per valutare la fattibilità di uno schema che vedrebbe lui al Quirinale e la ministra della Giustizia alla guida del governo. Ma nelle stanze della presidenza del Consiglio, dove «le bocche sono cucite» e il premier ha chiesto a tutti di muoversi «con grande discrezione e cautela», smentiscono qualsiasi interpretazione: la «mossa» di Draghi non sarebbe tale.
La visita a Sergio Mattarella? «Un incontro istituzionale sull’attività del governo», che rientra nella consueta attività di un premier «in un momento politico così delicato». I due presidenti si vedono continuamente e dunque, a sentire la comunicazione di Draghi, il faccia a faccia di ieri non va legato alla partita del Quirinale. Perché mai allora l’ex capo della Bce è andato a incontrare Fico, che oltre a essere il presidente della Camera è anche un «big» del Movimento 5 Stelle, con tutti i numeri per fare da pontiere? A sentire diversi deputati, che temono come la peste il voto anticipato, Fico avrebbe illustrato a Draghi i numeri degli schieramenti in vista delle votazioni sul Quirinale. E il presidente del Consiglio gli avrebbe chiesto se i gruppi del M5S potranno mai convergere sul suo nome, dopo che ai parlamentari Giuseppe Conte ha detto «Draghi deve restare al governo».
Per gli staff di Fico e Draghi sono tutte illazioni. La formula-fotocopia concordata tra i portavoce di Chigi e Montecitorio è secca: «Consueto incontro istituzionale». Resta da spiegare il colloquio tra Draghi e Cartabia e qui la risposta ufficiale viene facile, perché oggi alle 9 la ministra terrà la relazione sull’amministrazione della Giustizia. Insomma, la versione di Chigi è che il capo del governo non ha voluto inviare alcun segnale politico ai partiti e al Parlamento e non c’è alcun lavorìo di tessitura per favorire la sua ascesa al Colle e costruire un nuovo governo. E se non sono in agenda incontri con Letta, Conte, Salvini, Berlusconi, Renzi e Speranza è perché Draghi non si è candidato al Quirinale e nessuno lo ha candidato. Un solo concetto, che suona come un avvertimento ai leader dei partiti, il premier non si stanca a porte chiuse di ribadire: «La maggioranza non si deve spaccare, altrimenti mandare avanti il governo sarà impossibile».
A Palazzo Chigi si lavora sul caro bollette e sui sostegni economici, ma sarebbe surreale pensare che non si tengano d’occhio le manovre nel centrodestra, epicentro del terremoto Berlusconi. Nessuno dei due schieramenti ha i numeri per farcela da solo. E se l’anziano ex premier si arrende al passo indietro e decide di uscirne da uomo di Stato, come gli ha suggerito Gianni Letta prima e dopo aver incontrato il capo di Gabinetto di Draghi, Antonio Funiciello, può aprirsi la via a un presidente della Repubblica condiviso. Soluzione che piacerebbe a Base riformista, la corrente Pd guidata, guarda caso, da Guerini.
Dal Senato, il dem Luigi Zanda osserva preoccupato i tormenti dei partiti e ricorda che «Draghi è una personalità a cui l’Italia deve molto, ha salvato l’euro e ha accettato di fare il premier un anno fa evitando le elezioni anticipate». Conclusione e monito di Zanda: «Il premier non deve essere usato per giochi politici».

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