
Lo studioso svedese Carl Öhman pone il problema della gestione dei dati personali dopo la morte. Di chi sono? Come verranno utilizzati?
Quando scomparirà, la nostra sarà la prima generazione dell’umanità a lasciarsi dietro una quantità gigantesca di dati personali; questi veri e propri “resti” o “fantasmi” digitali costituiranno una ricchezza, un’opportunità e pure una responsabilità senza pari per gli abitanti del futuro. A valutare il fenomeno dei resti digitali nel dettaglio è lo studioso svedese Carl Öhman, per il quale le attuali tecnologie digitali, con relative tracce che lasciamo quotidianamente nel cyberspazio, stanno proiettando la nostra civiltà in una nuova era, quella della “post-mortalità.” Niente a vedere con i progetti transumanisti di una vita senza limiti: qui si tratta invece di un cambiamento radicale del modo di vedere il rapporto tra i vivi e i morti. Come ha infatti messo in luce lo storico francese Philippe Ariès, la modernità è caratterizzata dal fatto che la morte viene in un certo senso “nascosta” messa da parte, come se si trattasse di un imbarazzante segreto di famiglia; per Öhman ora, grazie a digitalizzazione, IA e Big Data, stiamo assistendo a un cambio di paradigma, per cui i morti torneranno di prepotenza nelle vite dei vivi, come già succedeva nel passato pre-moderno o in altre civiltà.
Avatar per parlare coi defunti
Già adesso l’app Historical Figures ci permette, tramite l’AI, di chattare con riproduzioni di personaggi storici di ogni genere, da Gesù a Hitler; e le tecnologie del presente e del futuro prossimo ci permetteranno letteralmente di estrarre dai nostri dati personali la nostra stessa personalità, e di costruire avatar che permetteranno ai vivi di parlare con riproduzioni credibili dei nostri morti. Ad esempio Eterni.me, start up Usa, ha sviluppato algoritmi che consentono agli utenti di creare avatar di se stessi che ne imitano il comportamento in modo impeccabile. E la start up in questione non è l’unica: anche altri soggetti, tra cui Microsoft, stanno lavorando a progetti simili.
Su Facebook più morti che vivi nel 2070
E non si tratta di un mercato di nicchia, ma al contrario potenzialmente piuttosto ampio. Già adesso, molti di noi hanno amici e conoscenti defunti che continuano ad apparire nei feed dei nostri social media e, stando a Öhman, entro il 2070 su Facebook – se esisterà ancora – il numero dei morti supererà quello dei vivi. Che fare di questi dati? Cancellarli? O al contrario fare di tutto per preservarli? Donare loro nuova vita, sebbene nel cyberspazio?
L’insieme di tutti questi dati personali costituirà il nostro passato digitale collettivo, una miniera per sociologi, storici e studiosi di varie discipline. Per non parlare del fatto che, tramite essi – ad esempio tramite i dati dei nostri familiari defunti e quant’altro – è possibile capire molte cose anche di noi stessi, un’opportunità che le grandi corporation non si lasceranno di certo sfuggire – tra l’altro proprio il controllo di questi dati è concentrato nelle mani di un numero limitato di attori. La nascita di quella che Öhman chiama «Industria dell’Aldilà Digitale» ci pone numerosi interrogativi etici, sia relativi al controllo dei dati, sia alla questione della privacy: i morti ne hanno diritto? Oppure sono i parenti ad avere diritto ad accedere ai dati personali (social media, cronologie Google, acquisti online e così via) dei cari estinti?
Come si elaborerà il lutto?
E che dire del normale processo di lutto e di accettazione della morte dei nostri cari? In “Be Right Back,” episodio d’apertura della seconda stagione della serie TV Black Mirror, la protagonista perde l’amato compagno in un incidente, e lo ricrea virtualmente e in modo iper-realistico, stravolgendo in modo imprevedibile la propria vita. Fantascienza? Neanche per idea: attualmente basta scaricare l’app Replika, consentirle l’accesso ai nostri dati personali, ed essa creerà un chatbot sempre più simile a noi, che ovviamente ci sopravviverà. Per Öhman – che ha dedicato al tema l’interessante “The Afterlife of Data” pubblicato l’anno scorso dalla University of Chicago Press, è difficile predire come la nostra nuova era della post-mortalità influirà su di noi psicologicamente, tuttavia è possibile effettuare qualche deduzione: «Mentre la presenza dei morti online può in teoria renderci più consapevoli della nostra stessa mortalità, non credo che l’ambito online possa aumentare la nostra paura della morte. Al contrario, ci potrà dare la falsa speranza di sopravvivere all’interno di un computer». Grazie inoltre ai Big Data, sapremo sui nostri morti molto di più di quanto i nostri antenati sapevano sui loro. Questo altererà il nostro modo di ricordare i cari estinti: “Già adesso sappiamo molto di più del nostro passato rispetto ai nostri antenati, ma ironicamente lo sforzo mnemonico richiesto per mantenere viva la memoria dei morti è molto inferiore. Le macchine lo faranno per noi, e quindi paradossalmente la presenza digitale dei morti potrebbe ridurne l’impatto culturale».
Infine per Öhman è necessario affrontare pubblicamente la questione della gestione di tutti questi dati: «Personalmente sono a favore di soluzioni decentralizzate che possono catturare diverse forme di valore, incluso il valore scientifico, economico e culturale degli archivi di dati. Un unico tipo di attore non potrà coprire tutti questi diversi valori. Proprio per questo abbiamo bisogno non di custodi del passato più grandi, ma più numerosi».