Fonte: La Stampa
di Paolo Mastrolilli
Dopo lo stop dei voli a Gatwick prima di Natale, un velivolo senza pilota manda in tilt per qualche ora lo scalo londinese di Heathrow
Dopo Gatwick, è toccato a Heathrow. Il principale aeroporto londinese è stato bloccato per quasi due ore ieri pomeriggio, a causa dell’avvistamento di droni vicini alla pista che potevano mettere a rischio la sicurezza dei voli.
Il problema però è assai più ampio dei disagi dei viaggiatori, magari provocati dallo scherzo di qualche idiota. L’intelligence americana infatti è convinta che i gruppi terroristici come l’Isis o al Qaeda si stiano attrezzando per usare questi apparecchi allo scopo di condurre attentati, nelle città, negli aeroporti, e soprattutto nei grandi appuntamenti a cielo aperto, come i concerti o gli eventi sportivi.
L’episodio di ieri è stato simile a quello avvenuto a Gatwick prima di Natale, anche se con proporzioni diverse. Verso le cinque del pomeriggio qualcuno ha notato un drone vicino alla pista, e per precauzione i voli sono stati fermati, con i passeggeri bloccati sul tarmac. L’allarme è durato oltre un’ora, ma verso le sei e mezza il traffico è ripreso normalmente.
Le autorità britanniche avrebbero acquistato e usato la tecnologia israeliana C-UAS del Drone Dome, per individuare gli apparecchi ed eliminarli con il «soft kill», cioè il jammer delle comunicazioni, oppure con «l’hard kill», ossia il laser che li distrugge. Potrebbe essere solo l’inizio, però, di un problema assai più grande.
Dopo il caos a Gatwick, l’Isis aveva diffuso finti poster che ritraevano un attacco lanciato con i droni contro New York. Poco tempo prima aveva minacciato Parigi nello stesso modo, prendendo di mira la Torre Eiffel, con una scritta che diceva «Await For Our Surprises», ossia aspettatevi le nostre sorprese. È ormai noto che l’Isis approfitta di ogni occasione per farsi pubblicità, e rivendica qualunque atto violento che possa essere anche vagamente associato alla sua causa, per diffondere la paura e trarre vantaggio anche da episodi che non hanno nulla a che vedere con i suoi militanti. Il pericolo però è reale e i professionisti della sicurezza non lo sottovalutano.
Il 10 ottobre scorso, durante un’audizione davanti al Senate Homeland Security and Government Affairs Committee, il direttore dell’Fbi Christopher Wray ha detto apertamente che «la minaccia dei droni sta costantemente aumentando». Wray ha spiegato che «data la loro disponibilità commerciale, la mancanza di regole chiare per l’identificazione di chi vuole procurarseli, la generale facilità dell’uso, e il precedente utilizzo all’estero, i droni verranno impiegati per facilitare attacchi negli Usa contro obiettivi vulnerabili, come gli eventi di massa». Basta per esempio caricarci sopra una bomba per farla esplodere in mezzo agli spettatori di una partita di calcio o un concerto. Per arrivare a lanciare un simile allarme pubblico, il direttore dell’Fbi deve avere informazioni di intelligence abbastanza dettagliate per giustificarlo. Infatti i voli sospetti dei droni negli Usa sono aumentati da 8 nel 2013, a 1.752 nel 2016. Naturalmente non erano tutti attentati, o attività con scopi malvagi, ma questi numeri danno un’idea della diffusione della minaccia. Anche perché, secondo le statistiche della Federal Aviation Administration, oltre un milione di droni erano registrati negli Stati Uniti al gennaio dell’anno scorso.
Nel 2012 l’Fbi aveva sventato il piano di Rezwan Ferdaus, che aveva cercato di colpire il Pentagono e Capital Hill con questi apparecchi, e nel frattempo il presidente Trump ha firmato una legge che dà al Department of Homeland Security e all’Fbi nuovi poteri per disabilitare o distruggere i droni che minacciano le strutture dello stato. La sfida dunque è già qui, ed è cominciata.